Il camion non verbale

Molti anni fa, siamo intorno al 1980, dal genio comico dei Monty Python uscì, tra le altre cose, una canzone intitolata “I’m so worried”: Sono così preoccupato. Nel brano, Terry Jones, membro del gruppo, cantava con voce lamentosa di quanto fosse preoccupato per tutto: la situazione in Medio Oriente, i programmi televisivi, la tecnologia moderna, «le cose che buttano nel mare», «tutto ciò che può andare storto» e, come ripete più volte nel ritornello, «il sistema di smistamento bagagli che hanno a Heathrow».

Una canzone in puro stile Python, in cui l’ironia investiva tutto e tutti e finiva per torcersi contro se stessa: la canzone ha due o tre finali perché chi la canta si preoccupa, appunto, su come e quando finirla.

Prendere per i fondelli chi si preoccupa per ogni minuzia ci sta e può servire da sveglia per chi indulge in certo sterile rimuginare. Tuttavia, dovremmo prestare più attenzione alle persone che nella vita procedono attraverso una nebbia di incertezze e ripensamenti: esse infatti sono più intelligenti della media. Lo ha rivelato uno studio della MacEwan University: esaminando un centinaio di studenti, i ricercatori hanno stabilito che i più ansiosi, dubbiosi, introversi e indecisi erano anche i più intelligenti. E siccome “intelligenza” è una parola dai confini incerti, hanno tenuto a precisare: una personalità ansiosa di solito si associa a un alto grado di “intelligenza verbale”.

Questo significa che ruminare ipotesi catastrofiche, concentrarsi su scenari negativi e pronosticare risultati sconfortanti prepara e allena il cervello a un uso migliore del linguaggio: chi si preoccupa cerca di interpretare tutti i segnali che gli arrivano in modo da anticipare la sventura, ma lo fa concentrandosi quasi esclusivamente su input verbali. Questo vuol dire che la sua fatica potrebbe permettergli di cogliere in anticipo un disastro annunciato, ma se la sfiga arriva sotto forma di Tir, beh, allora ci finirà sotto come tutti gli altri.

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