Il cetriolo globale

Il cetriolo globale

A quanto pare - a quanto, cioè, dicono e scrivono i media - adesso dobbiamo preoccuparci dei cetrioli spagnoli. Confesso che non me l’aspettavo. Ho vigilato con attenzione sui peperoni svizzeri e, naturalmente, mai mi sono abbandonato a spericolate confidenze con le melanzane slovene ma, debbo ammetterlo, ho trascurato di guardarmi dai cetrioli spagnoli. Stupido da parte mia, lo so; tanto più che la cucurbitacea iberica nascondeva un’insidia tanto terribile: un batterio che, in Germania, ha già provocato dieci morti e alcune centinaia di ricoveri nella sola area di Amburgo.
E a questo punto ci sarebbe da smetterla di fare gli spiritosi se non fosse che, considerato in un contesto globale, l’uomo si muove parecchio sicuro di se stesso, un poco tronfio e di conseguenza ridicolo. Egli coltiva kiwi in Basilicata e li spedisce in Sudafrica, acchiappa gamberi in Cile e li congela per il mercato lituano, lucida albicocche in Bangladesh perché se ne abboffino a Helsinki e accudisce tacchini in Danimarca perché allietino le cene dell’Iowa. Ma ecco che il cetriolo spagnolo si ribella e gli aggiusta un colpo basso, per non dire altro.
Sarebbe il caso, a questo punto, di organizzare un pistolotto sulla fallibilità umana di fronte alla Natura, sull’impossibilità di imbrigliare il pianeta - dal microbo alla valanga - e di piegarlo al nostro volere. Se non che, sarebbe inutile. Tutto riesce a sorprenderci a questo mondo, tranne l’unica cosa ormai scontata e immutabile: la nostra presunzione.

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