Finalmente ho potuto completare un sondaggio interessante. In realtà non so neppure se la parola sondaggio sia giusta. Il sondaggio vero e proprio si configura di solito in una serie di domande al termine della quale mi ritrovo il più delle volte nella categoria “non sa/non risponde”. In questo caso, invece, sapevo rispondere eccome. Rispondevo, possiamo dire, con il vento in poppa e se ci fossero state altre domande avrei risposto anche a quelle e molto volentieri.
Il sondaggio - ormai ho adottato la parola e con essa procedo - era inteso a stabilire quale personaggio creato dallo scrittore P. G. Wodehouse avrebbe più somiglianza con me. O io con lui, come è più corretto dire.
Risultato: io sarei in pratica il fratello gemello di Bingo Little. La cosa mi ha un poco interdetto: non ho nulla contro Bingo ma la sua inconsistenza sentimentale, che lo porta a innamorarsi a ogni refolo di vento, non la riconosco propriamente mia. Non importa: pur se con esito discutibile, il sondaggio pareva avermi ammesso all’universo di Wodehouse e non c’è cosa che possa rendermi più felice.
Chi conosce questo autore - capace di consegnare all’eternità umoristica l’età edwardiana, stagione nella realtà presto sfiorita e forse, nei termini descritti da Wodehouse, neppure mai esistita - sa di che cosa parlo. Gli altri dovrebbero vergognarsi di essere ancora qui, su queste righe: la libreria vi sta aspettando e, in essa, tutti i romanzi che vedono le imprese di Jeeves e Bertie Wooster, di Lord Emsworth e di Psmith, di Mr. Mulliner e del Membro Più Anziano. Giusto ieri, il quotidiano Guardian si chiedeva se Wodehouse (1881-1975) fosse riuscito a creare, nei suoi scritti, «un mondo senza classi». Un mondo certamente privilegiato e dorato, pieno di gentiluomini sfaccendati e di dame svenevoli, ma retto dalla bonomia, dal sorriso e, fatalmente, dall’ironia. Io faccio senz’altro domanda di residenza. Quant’è vero che mi chiamo Bingo Little.
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