Il cittadino vuole risposte. Quelle giuste però

Pensa e ripensa mi è venuta un’idea. Celebro l’occasione con un articolo perché non capita spesso. L’idea sarebbe questa: come esseri umani, dimostriamo ogni giorno un’inesauribile capacità di formulare delle domande, ma non per questo possiamo aspettarci altrettante risposte. Le domande sono legittime, intendiamoci, e spesso sono anche molto utili: solo, non necessariamente sorgono accompagnate da risposte pronte.

Vale a dire: la nostra ignoranza, espressa in una domanda, non sempre trova riscontro nella conoscenza altrui.

Non è come chiedere un’aspirina al farmacista: lui sa in qualche cassetto è riposta, la prende e ce la consegna. Facile e veloce. Spesso, invece, una domanda non ha risposta, o meglio non ha ancora risposta. Perchè la abbia, bisognerà saper attendere. Che cosa? Per esempio che qualcuno abbia completato uno studio scientifico, oppure che qualcun altro torni da un sopralluogo, che si faccia avanti un testimone attendibile.

Quanto durerà l’immunità offerta dal vaccino anti-Covid? Ecco un esempio di domanda alla quale solo una combinazione tra esperienza e ricerca potrà fornire una risposta adeguata.

In politica spesso si sente dire che «i cittadini vogliono delle risposte ai loro problemi». Affermazione solo parzialmente corretta: i cittadini vogliono risposte “giuste” ai loro problemi. L’aggettivo, è vero, è lasciato sottinteso ma nondimeno va preso in considerazione. Spesso invece la politica si accontenta di rispondere, o perlomeno di annunciare delle risposte che, nel gergo, vengono chiamate “soluzioni”, forse perché, a cercar bene, nel diluito intruglio qualche smarrita molecola di saggezza la si potrebbe anche trovare.

Le soluzioni dalla politica sembrano spesso “pratiche”, “ragionevoli”, “di buon senso”: sono anche giuste? Di questo è lecito dubitare. Nel frangente della pandemia, è parso a tratti che la politica queste risposte giuste le cercasse nella scienza. Solo che, anche qui, è incorsa in un equivoco lessicale: le risposte giuste della scienza sono diventate “certezze”. «Dalla scienza voglio certezze inconfutabili» dichiarò a suo tempo il ministro Boccia, senza considerare che compito della scienza è proprio quello di confutare se stessa allo stremo. Perfino Newton è stato confutato, figuriamoci che sorte potrà toccare a un malcapitato ministro italiano.

A questo punto azzarderei una definizione, così, alla buona: le risposte giuste sono quelle più oneste. Ovvero quelle che prima di essere spiattellate sono state sottoposte al più alto numero di verifiche possibili e che, al momento di venire espresse, annunciano con chiarezza i propri margini di affidabilità.

Tutta roba che per fare campagna elettorale serve poco o nulla, e nemmeno vien buona per un tweet efficace o un post che aspiri alla sua bella “valanga di like”. Tra l’altro il destino delle risposte giuste è tristissimo: spesso vengono alla luce quando la domanda che le accompagnava non se la ricorda più nessuno e la curiosità che l’aveva suscitata si è spenta in favore di una nuova “certezza” appena uscita sul mercato

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