Il club più esclusivo

Il club più esclusivo

Ne ha dovuta fare di strada uno come Mitt Romney per perdere le elezioni. Pensateci: per prima cosa ha dovuto vincere le primarie del partito Repubblicano, e non contro Renzi o Bersani, Alfano o Al Bano. Ha invece dovuto sbaragliare la concorrenza del fiore del conservatorismo statunitense, di individui convinti che il governo sia il Male Assoluto, le tasse facciano venire l'Aids e che, dovessero mai sentir parlare dell'Imu, si torcerebbero come indemoniati. Ma al di là di queste vedute economico-amministrative, sulle quali molti potrebbero dirsi d'accordo, le primarie schieravano candidati che non avevano paura ad esprimere le proprie opinioni personali: Dio abita nel Delaware, gli omosessuali andrebbero trattati con il diserbante e i dischi di Lady Gaga convogliano sulla Terra i messaggi di Satana.

Vinte le primarie, Romney ha dovuto tuffarsi in una campagna elettorale massacrante e costosissima, girando di Stato in Stato come una trottola. In ognuna di queste tappe, discorsi, interviste, fotografi, strette di mano. Il tutto per arrivare a essere dato, nei sondaggi, quasi presidente e invece, nella realtà, a perdere piuttosto seccamente.

Messa così, sembra una mazzata dalla quale gli sarà difficile riprendersi. Si tratta invece di un privilegio, della chiave d'oro per accedere al club più esclusivo del modo: quello dei Trombati d'America. Di colpo, il nome di Romney sarà associato ad altri grandi falliti elettorali d'oltreoceano, il consorzio di quelli che avrebbero potuto essere e non sono. Pensate che combriccola: John McCain, John Kerry, Bob Dole, Michael Dukakis, Walter Mondale, George McGovern, Hubert Humphrey, Barry Goldwater e via dimenticando. Chissà, presidente del club potrebbe essere forse quel Wendell Willkie che, nel 1940, correndo alla presidenza con lo slogan “il New Deal è una fesseria” consegnò a Franklin Delano Roosevelt l'85 per cento del voto elettorale.

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