Si potrebbe pensare che qui da noi, in Italia, la politica ancora alimenta grandi passioni, spinge possenti movimenti sociali, scava fossati umani e innesca pericolose micce ideologiche. A essere onesti fino in fondo, però, dovremmo riconoscere che, per disdetta e per fortuna insieme, la politica italiana è spesso una tempesta di breve durata, un temporale ricco di tuoni ma scarso di fulmini.
Altrove invece c’è chi la politica la prende piuttosto sul serio. Gli esempi più sorprendenti di questo atteggiamento vengono dai Paesi meno probabili, come la Cina. Riferiscono i giornali orientali che il signor Zhao Jianfan, 86 anni, residente a Tangshan, nella provincia dello Hebei, è dal 1986 un fiero membro del Partito comunista cinese. Talmente fiero che, sentendo statisticamente avvicinarsi la fine della sua esistenza terrena, ha voluto fare in modo che la sua adesione al Partito non debba terminare per un evento così decadente e individualista come la morte. Per questa ragione, si è recato al comitato locale del Partito e ha versato in anticipo la somma necessaria ad assicurargli l’iscrizione per i prossimi cento anni. I dirigenti comunisti di Tangshan lo hanno pubblicamente lodato e indicato quale «esempio per i più giovani membri del Partito». Lui si è detto contento di poter rimanere, dopo la morte, «membro spirituale» dell’organizzazione politica che, incontrastata, governa sulla Cina dal 1949.
Non so francamente quale morale trarre da questa storia se non che, a occhio, non mi risulta abbia corrispondenze nella moderna vita politica italiana. Dubito che qualcuno abbia versato un secolo di quote per essere certo di rimanere membro, anche dopo il trapasso, dell’Udeur di Mastella o della Lista di Lamberto Dini. In passato, certo, le cose andavano diversamente e passioni di diverso colore infiammavano i cuori consegnandoli per sempre a una parte o all’altra. Tuttavia, credo sia difficile sostenere che gli italiani abbiano spesso pagato un partito. Piuttosto, si sono trovati nella condizione di doverli pagare tutti.
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