Il contagio e la colpa

Non si crederebbe, a prima vista, che scrupoli e coscienza siano ancora moneta corrente, non più almeno, eppure c’è chi guarda a vergogna e senso di colpa come a faccende di cui l’umanità mai riuscirà a liberarsi del tutto.

Guardiamo per esempio ai risultati di una ricerca la quale, a dispetto della sfacciataggine, della leggerezza e della disinvolta crudeltà esibite da molti di noi, sostiene che il senso di colpa è molto diffuso e addirittura contagioso. Basta infatti stringere la mano a una persona che si sa, o si sospetta, essere disonesta per avvertire un immediato scartamento con la moralità del mondo. Un test condotto su una cinquantina di studenti universitari ha rivelato che, in un’aula, basta sedersi al posto di un noto copione, ovvero di una persona incline a ricorrere a trucchi e inganni, per sentirsi in qualche modo a disagio, toccati dalla sua disonestà come se questa fosse una patina di sporcizia, una macchia di grasso, una ditata di sugo.

Dubito che questa forma di contagio, pur evidente, possa in qualche modo impedire a un individuo di comportarsi male se solo ne avverte l’immediata convenienza. Al massimo, vale a ricordargli ciò che è: una creatura imperfetta circondata da creature imperfette. Il che, diciamolo, è sempre buona cosa perché l’uomo, tra le tante sue abbondanze, non vanta inesauribili scorte di modestia e tende, se abbandonato a se stesso, a cullare assurdi sogni di grandezza e a compiere azioni inconsulte tipo iscriversi a X Factor, fare l’assessore, candidarsi al Parlamento e a pronunciare almeno dieci volte al giorno la frase «io l’avevo detto».

Qualcuno penserà che questa colpa per osmosi sia un inutile fardello sulla coscienza degli uomini, un peccato originale neanche tanto originale visto che quello originale originale è già stato inventato millenni fa, ma io la trovo, se non giusta, utile. Inoltre, non c’è da preoccuparsi: portare una colpa non significa essere condannati ed essere condannati, come sappiamo, non significa certo scontare una pena.

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