Il contesto

Il contesto

Ci sono parole di cui, per anni, si ha certezza assoluta. Poi, all’improvviso, capita di non riconoscerle più. Si comportano come i figli che, irrompendo nell’adolescenza, finiscono per diventare degli estranei in famiglia. Un giorno il babbo gioca con il frugoletto; il giorno dopo fatica a riconoscerne le fattezze dietro il gigantesco piercing che gli copre la faccia. La parola cui faccio riferimento, quella che si è trasformata in un adolescente irriconoscibile, è «contesto».
Ancora una volta dobbiamo ringraziare il dibattito. Non solo quello politico; più in generale, direi, il dibattito pubblico, in cui il «contesto» rappresenta la più sbrigativa delle scuse. Chiunque pronunci uno sproposito, una battuta volgare, un insulto razzista, un incitamento alla violenza - in questi giorni abbiamo avuto esempi di tutte queste cose -, ricorre poi al «contesto» in modo da giustificarsi. «Certe affermazioni» si sente dire con sussiego, «non vanno estrapolate dal contesto». Molto ci sarebbe da dire anche sul verbo «estrapolare», ma per ora concentriamoci su «contesto». Ebbene, vien da chiedersi in quali «contesti» una battutaccia, un epiteto razzista, una sonora stupidaggine o un invito a delinquere si trasformino in affermazioni accettabili, appropriate o addirittura auspicabili: forse «contesti» in cui, per fortuna, gran parte delle persone non ha alcuna intenzione di avventurarsi. Si sentirebbero fuori contesto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA