In una pagina del Corriere della Sera, il giornalista Sergio Rizzo - co-autore del fortunato "La Casta" - dimostra che le Province, intese sia come Enti sia come territori, rifiutano di sparire. Un’approfondita inchiesta per mettere in luce come la burocrazia tende sempre a sopravvivere a se stessa.
Sbagliereste, tuttavia, a pensare che quella delle Province sia una resistenza battagliera, una fiera opposizione alla prepotente autorità statale, una coraggiosa trincea scavata a far da granitico argine al decisionismo centralista. La realtà esplorata dall’inchiesta dice invece di una sorta di palude nel quale il decreto governativo, lungi dal essere affrontato a viso aperto, viene invece attirato in trappola, accolto in un abbraccio vischioso, immerso in un fluido bagno di eccezioni e infine espulso come un calcolo renale.
A parole, gli amministratori locali sono pronti a scattare agli ordini: la direttiva viene dapprima «presa in considerazione», quindi «attentamente esaminata». Addirittura, si programmano i «passi necessari» alla «pronta applicazione» del provvedimento per poi stabilire, non senza contrizione, che «proprio non è possibile» procedere oltre. Ci sono ragioni amministrative, culturali, particolari; ci sono anche, inutile dirlo, specificità territoriali, sfumature linguistiche, condizioni economiche, peculiarità distrettuali. Senza dimenticare che, naturalmente, è doveroso tener conto dell’unicità morfologica della superficie lacuale, del comprensorio montano, dell’ecosistema marittimo, della struttura collinare e dell’altopiano tettonico, fattori che, come è ovvio, impediscono «nel concreto» apparentamenti incongrui e nocive semplificazioni. Il bello è che questo unanime coro di eccezioni, di distinguo, di giustificazioni firmate dai genitori e, in buona sostanza, di scuse belle e buone, dimostra che l’Italia è già una sola e indivisibile Provincia Unificata.
Sbagliereste, tuttavia, a pensare che quella delle Province sia una resistenza battagliera, una fiera opposizione alla prepotente autorità statale, una coraggiosa trincea scavata a far da granitico argine al decisionismo centralista. La realtà esplorata dall’inchiesta dice invece di una sorta di palude nel quale il decreto governativo, lungi dal essere affrontato a viso aperto, viene invece attirato in trappola, accolto in un abbraccio vischioso, immerso in un fluido bagno di eccezioni e infine espulso come un calcolo renale.
A parole, gli amministratori locali sono pronti a scattare agli ordini: la direttiva viene dapprima «presa in considerazione», quindi «attentamente esaminata». Addirittura, si programmano i «passi necessari» alla «pronta applicazione» del provvedimento per poi stabilire, non senza contrizione, che «proprio non è possibile» procedere oltre. Ci sono ragioni amministrative, culturali, particolari; ci sono anche, inutile dirlo, specificità territoriali, sfumature linguistiche, condizioni economiche, peculiarità distrettuali. Senza dimenticare che, naturalmente, è doveroso tener conto dell’unicità morfologica della superficie lacuale, del comprensorio montano, dell’ecosistema marittimo, della struttura collinare e dell’altopiano tettonico, fattori che, come è ovvio, impediscono «nel concreto» apparentamenti incongrui e nocive semplificazioni. Il bello è che questo unanime coro di eccezioni, di distinguo, di giustificazioni firmate dai genitori e, in buona sostanza, di scuse belle e buone, dimostra che l’Italia è già una sola e indivisibile Provincia Unificata.
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