La notizia che il governo vorrebbe tagliare la spesa pubblica anche nella Sanità può suscitare indignazione o soddisfazione a seconda di come la si pensi. Smarrimento è invece l’unica reazione possibile davanti all’evidenza che, ammesso sia deciso a potare, il governo potrebbe aver problemi a raggiungere i rami della spesa pubblica destinati a cadere. Questo, per la buona ragione che nessuno sa di preciso dove siano.
Eppure, i termini del decreto sembravano chiari: chiusura per gli ospedali con meno di ottanta posti letto. L’ospedale Tale ha 79 posti? Chiude. Ne ha 81? Resta aperto. Ne ha 80 precisi? Si fa un colpo di telefono al ministero e si chiedono lumi.
Troppo facile. Ieri, i più importanti giornali nazionali presentavano ognuno un suo elenco degli ospedali destinati a chiudere: non c’erano due elenchi uguali. Eppure, il numero di posti letto ospedale per ospedale dovrebbe essere un’informazione piuttosto facile da reperire. Non in Italia, dove la pubblica amministrazione non è un problema soltanto per il suo peso: lo è anche per la sua forma. Nessuno sa dove incomincia e nessuno sa dove finisce.
Altro esempio: compilare un elenco dei beni di proprietà statale o regionale - a volte perfino comunale - è un impresa titanica. Peggio: kafkiana. Gli archivi sono incompleti, le carte ingiallite, i fascicoli dispersi. L’addetto è in ferie, il suo sostituto in pensione e un tale che potrebbe saperne qualcosa figura in malattia.
Lo Stato, ne consegue, non aumenta né diminuisce: piuttosto, si stratifica, aggiunge a se stesso livelli sovrapposti e indipendenti. Non è un organismo, come vorrebbe la più comune metafora costituzionale, ma un puzzle impazzito, e non è provvisto di vene o nervi che colleghino le estremità del suo corpo indefinito. Governarlo, dunque, non è facile o difficile: è impossibile.
Eppure, i termini del decreto sembravano chiari: chiusura per gli ospedali con meno di ottanta posti letto. L’ospedale Tale ha 79 posti? Chiude. Ne ha 81? Resta aperto. Ne ha 80 precisi? Si fa un colpo di telefono al ministero e si chiedono lumi.
Troppo facile. Ieri, i più importanti giornali nazionali presentavano ognuno un suo elenco degli ospedali destinati a chiudere: non c’erano due elenchi uguali. Eppure, il numero di posti letto ospedale per ospedale dovrebbe essere un’informazione piuttosto facile da reperire. Non in Italia, dove la pubblica amministrazione non è un problema soltanto per il suo peso: lo è anche per la sua forma. Nessuno sa dove incomincia e nessuno sa dove finisce.
Altro esempio: compilare un elenco dei beni di proprietà statale o regionale - a volte perfino comunale - è un impresa titanica. Peggio: kafkiana. Gli archivi sono incompleti, le carte ingiallite, i fascicoli dispersi. L’addetto è in ferie, il suo sostituto in pensione e un tale che potrebbe saperne qualcosa figura in malattia.
Lo Stato, ne consegue, non aumenta né diminuisce: piuttosto, si stratifica, aggiunge a se stesso livelli sovrapposti e indipendenti. Non è un organismo, come vorrebbe la più comune metafora costituzionale, ma un puzzle impazzito, e non è provvisto di vene o nervi che colleghino le estremità del suo corpo indefinito. Governarlo, dunque, non è facile o difficile: è impossibile.
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