Il decalogo indigesto

La dichiarazione che segue vi potrà sembrare un po’ interessata, vista la professione del sottoscritto, ma sgorga dritta dal cuore: meno male che ci siamo noi giornalisti, altrimenti chissà che cosa sarebbe di voi.

Immagino le vostre facce perplesse. Sarà meglio che mi spieghi. Forse non ci facciamo caso ma i giornali comprendono, oltre alle notizie propriamente dette, anche informazioni “di servizio” che ci aiutano a vivere meglio . Prendiamo un articolo pubblicato ieri dalla sezione “la Cucina” di corriere.it: “Le dieci cose stupide da evitare (possibilmente) al ristorante”. Il titolo mi ha subito conquistato: di buone maniere non se ne hanno mai abbastanza, secondo me, e bisogna sempre disporsi con umiltà ad assimilarne di nuove. Dunque, sotto con il decalogo del perfetto cliente al ristorante.

Punto primo: «È stupido» secondo l’autrice dell’articolo, «non fare la prenotazione, specie se il ristorante è strapieno». “Un raffinato omaggio a Lapalisse” ho pensato con benevolenza prima di continuare nella lettura. Punto secondo: «È stupido pronunciare piatti conosciuti del menu in modo sbagliato». Qui, ho dovuto riconoscere in me l’insorgenza di una perplessità: «Se una persona pronuncia un nome in modo sbagliato forse è perché non ne conosce la pronuncia corretta. Altrimenti perché mai dovrebbe storpiarla a bella posta?». La mia fiducia nel decalogo è tuttavia rimasta intatta, tanto che ho deciso di andare avanti: «È stupido non leggere il menù ma lamentarsi lo stesso. Non è mai una genialata ordinare un piatto senza leggerne la descrizione sulla lista». A parte la parola “genialata”, pestifera come un’ostrica andata a male, il suggerimento non mi sembra di altissimo livello e, a ben vedere, attribuisce al lettore un grado di disattenzione (e/o analfabetismo) troppo alto per non essere offensivo.

A questo punto ho deciso di lasciar perdere e di confezionare da me una regola aurea: mai leggere decaloghi prima di andare al ristorante. Restano sullo stomaco.

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