Il destino della neve

Il destino della neve

Non che io sia un esperto, proprio no. È solo per necessità del momento che rovisto nella memoria e, miracolo, trovo due quadri e il nome di un pittore: Claude Monet. Questo perché, nella mia circoscritta conoscenza di non esperto, Monet è l'artista che, per me, meglio ha saputo rappresentare la neve.

Penso a "La pie" (La gazza) e a "Neige à Argenteuil" (Neve a Argenteuil). In entrambi i dipinti trovo una quieta sensazione di stupore: quella lasciata dalla neve nei viventi. Nel primo caso, la vita, rimasta muta davanti alla trasformazione imposta dalla nevicata, è resa da una gazza solitaria appollaiata sulla staccionata; nel secondo, la ritroviamo nei contorni di alcuni contadini intirizziti, piccole figure nere smarrite sulla strada imbiancata.

Naturalmente, il genio dell'artista ha pensato a raffigurare i sentimenti che la neve, con la sua improvvisa presenza, imprime ("impressiona" si potrebbe dire in questo caso) nell'animo dell'uomo e nello spirito della natura. Mai nessuno, tantomeno un pittore ragionevole come Monet, ha ritenuto necessario immaginare, al contrario, le reazioni della neve nel trovarsi precipitata sulla Terra. Parlo di reazioni al plurale perché considero la neve formata da infiniti fiocchi, ognuno dei quali con la sua personalità e il suo destino. A uno può capitare di posarsi, insieme a miliardi di altri compagni di viaggio, sulle tenere ondulazioni di un prato, a un altro di finire su un tetto e a un altro ancora, va a saperlo, di precipitare dritto sulla testa di un assessore regionale.

Immagino il successivo, inevitabile scioglimento come una sorta di adunata generale della neve dopo l’invasione della Terra. I fiocchi avranno così l'occasione di scambiarsi le loro impressioni. «Beato te che sei caduto su un albero» dirà uno, «io sono precipitato in un abisso nero che sembrava non aver mai fine». «Un pozzo, forse?» «Macché, un buco di bilancio».

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