Il dibattito

Il dibattito

«Walter Veltroni è il radiologo di un Pd in decomposizione»: nel tentativo di descrivere la situazione, Antonio Di Pietro, ieri, si è scontrato con una metafora e, pur venendo da destra, ha avuto la peggio.
Una cosa, però, l’ha detta giusta: «Il Partito democratico è speculare al Popolo delle libertà». In entrambe le formazioni si litiga dalla mattina alla sera: Bersani contro Veltroni, Berlusconi contro Fini e perfino Miccichè contro La Russa. Si litiga anche se, ogni poco, qualcuno dei contendenti afferma che «non si dovrebbe litigare». Il concetto, naturalmente, è espresso in modo più articolato: «Possiamo discutere, ma non troppo: altrimenti ci si divide e dividersi, per ovvie ragioni elettorali, non va bene». Si discute, insomma, ma non si discute. Liberi di dibattere, ma fino a un certo punto: se si va a fondo, se si scava attorno alla magagna, allora tutto va a ramengo e «andare a ramengo» è un programma elettorale - per quanto spesso applicato  - di scarso "appeal" presso i cittadini.
Capita, allora, che i partiti siano come quelle famiglie che si riuniscono a Natale e Pasqua: tutto va bene finché la conversazione si tiene sul generale, ma quando salta fuori l’orologio della nonna o il Capodimonte del povero zio, ecco che scoppia la guerra. La soluzione, per i partiti come per le famiglie, è organizzare il dibattito su temi controversi ma inoffensivi. Eccone uno che auspichiamo occupi Pdl e Pd per i prossimi mesi: «Con il sugo al tonno, meglio i fusilli o le trenette?»

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