Ora che il governo, con inedita manovra istituzionale, è stato, per così dire, subappaltato e la politica veleggia verso nuove fortune e avventure mai scritte, in questo angolo - nel quale le novità vengono sempre faticosamente ruminate - possiamo finalmente fare un passo indietro e concentrarci non sull’uomo del giorno (Renzi) ma sull’uomo del giorno prima (Letta) o, meglio ancora, sui dettagli della sua uscita di scena. Questo per la buona ragione che le persone danno testimonianza sincera di se stesse quando lasciano piuttosto che quando prendono e Letta, nel lasciare, si è fatto precedere da alcune parole molto precise, divulgate sotto forma di “tweet”: «Al #Quirinale a rassegnare le dimissioni al Capo dello Stato. Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutato. “Ogni giorno come fosse l’ultimo”».
Da qualunque testo provenga quest’ultima citazione - Steve Jobs, Baci Perugina, Vasco Rossi, Epicuro, Fabio Volo, Schopenhauer, Peppa Pig - mi sembra, in questo ambito, decisamente la più interessante. Secondo l’interpretazione che se ne dà comunemente, il concetto di “vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo” equivale a comportarsi in modo tale che ogni secondo sia valorizzato all’estremo, ogni sensazione assaporata fino al suo ultimo svanire, ogni determinazione portata, quasi a viva forza, alla sua definitiva conclusione. Tutto ciò, applicato a un governo che è stato battuto sulla quantità minima di frutta da introdurre nelle bevande analcoliche, sembra un tantino esagerato. Ma interessante è il fatto che, secondo me, interpretiamo l’ipotesi di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo diversamente da come faremmo con l’ultimo giorno stesso. Mi spiego: mentre l’idea di vivere l’ultimo giorno ci vede pieni di febbrile energia, di sublime connessione con il nostro spirito nell’aprire i sensi alle sensazioni più sottili, nella realtà, probabilmente, la nostra coscienza si chiuderebbe oppressa dalla disperazione. Meglio, a questo punto, vivere ogni giorno come fosse il primo. Almeno, riporteremmo nel mondo il difetto più soave: l’ingenuità.
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