Il disco di Newton

Oggi è sabato e, per recondita abitudine mentale, tendo a fare un bilancio della settimana. Ebbene, mi duole dire che non è stata granché.

Formulo questa lagnanza e mi rendo subito conto di non averne diritto. Nulla è successo, in questa settimana, che abbia gravemente peggiorato la mia condizione umana. Anzi, a voler guardare ci sono almeno tre aspetti positivi da tenere in giusta considerazione: 1) sono ancora vivo, 2) sono in salute, 3) nonostante le spensierate avventure mentali perpetrate in questa rubrica, ho ancora un lavoro. Per molti, moltissimi purtroppo, poter annoverare questi tre punti al proprio attivo sarebbe una grande conquista: senza dubbio alcuni si accontenterebbero di contarne due o, nelle situazioni più difficili, addirittura uno solo.

Ma sebbene l’antica e la nuova saggezza ci esortino a godere di ciò che abbiamo e ad apprezzare quanto è dato momento per momento, in realtà la vita è un’esperienza tremendamente soggettiva e malinconia e amarezza l’accompagnano anche quando, a rigor di logica, non ce ne sarebbe ragione. E in effetti io di ragioni per lamentarmi non ne ho se non fosse per il fatto che, ultimamente, ogni giorno sembra essere giovedì. Vado a spiegarmi, prima che giudichiate questa affermazione più bizzarra di quanto in effetti sia.

Dovete sapere che il sottoscritto, da ragazzo e da giovanotto, considerava il giovedì un giorno infausto. Le cose peggiori sembravano capitare di giovedì. Compiti in classe di matematica, interrogazioni a sorpresa: ogni possibile asprezza, ogni delusione e ogni malinconia ristagnava in questa grigia piazzola a metà della settimana.

Consolava che, passato un giovedì, ci voleva un secolo - questa era la sensazione - prima di rivederne un altro. Oggi, i giovedì si succedono ai giovedì con una velocità tale da confonderli tra loro, come nel disco di Newton, la cui rotazione spegne i colori dell’arcobaleno in un bianco sporco e definitivo.

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