Il folle

Il folle

Mettiamo il caso che, in un pomeriggio, aveste ucciso 77 persone: ebbene, ci stareste a passare per pazzi? Anders Behring Breivik, autore della strage di Oslo nel 22 luglio scorso, non ci pensa nemmeno. La cosa non sorprende: quando si commette tanto male, l’unica scappatoia è farsi passare per geni, insinuando così che sarebbe la piccolezza delle menti altrui a non cogliere la presunta grandezza del nostro progetto.

Breivik ha scorso le 243 pagine della perizia che lo dichiara malato di mente riscontrando «errori, fraintendimenti e dichiarazioni estrapolate fuori contesto». Digiuni di «ideologie politiche», i periti avrebbero scambiato per farneticazioni idee che, a parere di Breivik, «non sono affatto folli». Si può concludere che, secondo l’assassino norvegese, una miglior conoscenza delle ideologie avrebbe consentito agli psichiatri di comprendere come il suo gesto, ovvero la strage, lungi dall’essere folle, risponde a una perfetta coerenza, perfino a una necessità, rientrando così nelle azioni «comprensibili», circoscritte al senso comune, con cui possiamo essere in accordo o in disaccordo, ma che non possiamo rifiutare a priori in quanto illogiche, ovvero prodotte da una mente deteriorata.

Ciò che a Breivik sembra sfuggire è che, a noi, spettatori della sua trasformazione da uomo a mostro, poco importa dello stato di salute del suo cervello. Ci preoccupiamo di quello del nostro, però, ed è per questo che, credo, abbiamo tutto il diritto di chiamare sanità ciò che impedisce alle nostre menti di assomigliare alla sua.

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