Il gigante della pancia

Il gigante della pancia

Comprendo bene che si tratta di una stagione difficile, di scioperi e botte nelle piazze, di inverni con il riscaldamento al minimo se non spento, di bollette scadute, di posti di lavoro perduti e mai ritrovati, di famiglie che, la sera, si guardano in faccia chiedendosi come sia stato possibile finire così.
Ma è forse proprio per questo che oggi, per contrasto, per spregio (alla crisi in sé, non alle persone da essa colpite), si impone alla mia mente la gigantesca figura di Adam Richman.

Come i frequentatori dei canali satellitari già sapranno, Richman è il conduttore di un programma intitolato "Man vs. food" ("Uomo contro cibo"), tra i pochi show che, al momento, riescono a suscitare il mio entusiasmo. Chiedo scusa ai vegetariani, perché "Man vs. food" è un insulto a tutto ciò per cui si battono, e mi inchino ai difensori dei diritti degli animali perché Richman, agli animali, riconosce solo il diritto di diventare bistecche. E tuttavia c’è qualcosa di elettrizzante nell’assistere alle avventure di questo gioviale ragazzone di Brooklyn il quale gira di bettola in bettola in cerca di hamburger della taglia di un furgone, di fette di pizza che sembrano tappeti persiani e di "hot dog" della lunghezza di un braccio. Il tutto per battere quelle sfide alla capienza dello stomaco care alla cultura dell’abbondanza, dell’eccesso addirittura, tipica degli americani.

Potremo inorridire di fronte a certe porzioni e a certe bocche, a certi condimenti e a certe facce, ma l’esperienza di "Man vs. food" - così lontana dall’alimentazione come medicina e come formalità, così antitetica alla cucina come prodotto intellettuale - ci ricorda che l’uomo è anche appetito, brama, pancia, digestione. Nelle puntate più recenti, Richman, ritirato il fegato come si è fatto con la maglia di Baresi, non partecipa più di persona alle gozzoviglie ma si limita ad assistere e a dare consigli. Poco male, la sua lezione resta comunque impressa nei nostri cuori. E in altri organi circostanti.

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