Il gigante

Non è che io abbia particolare desiderio di passare per un grand’uomo. Non ne ho la statura: né morale, né fisica. Incomincio a temere, però, che un giorno o l’altro potrebbe accadermi, che lo voglia o no.

Il timore nasce dal fatto che, nel giro di poco, pochissimo tempo, l’impresa è riuscita a Matteo Renzi, sindaco di Firenze e aspirante segretario del Partito democratico. Impresa, occorre specificarlo, del tutto involontaria: Renzi non ha compiuto alcuno sforzo se non quello di starsene seduto e aspettare che arrivasse l’onda giusta.

L’atteso - o inatteso - cavallone si è presentato con le sembianze di Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat (o, come oggi si dice con piglio manageriale, "di" Fiat), il quale, nel polemizzare con Renzi sul presunto fallimento della ("di") Fabbrica Italia ha detto: «Egli è il sindaco di una piccola, povera città». Ora, io non penso che Marchionne sia così fesso dall’aver detto una cosa del genere senza provare, immediatamente dopo, l’impellente desiderio di mordersi la lingua ma, purtroppo per lui, era tardi: definire Firenze «piccola, povera città» gli ha attirato ogni sorta di ironie. Qui basterà riassumerle nel concetto che, con tutto l’affetto per la Fiat ("per Fiat"?), capolavori paragonabili a quelli degli Uffizi ("di Uffizi"?) non sono mai usciti dalle catene di montaggio.

Ma l’effetto più strabiliante dello scivolone di Marchionne sta nell’aver ingigantito la figura di Renzi, il quale si è immediatamente atteggiato a difensore della "fiorentinità" ferita e custode di una città che «raccoglie un decimo del patrimonio artistico mondiale». Insomma, da Renzi il Rottamatore a Renzi il Magnifico nel volgere di un giorno. A questo punto, non resta che aspettare: magari c’è in giro qualcuno che, in grazia della sua sventatezza, trasformerà in un gigante perfino uno come me.

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