Tra le fortune che molti di noi non sanno di avere c’è quella, un po’ singolare lo ammetto, di non aver mai girato un film di successo trenta o quaranta anni fa. Toccati da sorte benigna anche coloro che non hanno mai avuto una canzone in classifica e non sono mai stati chiamati, da piccoli, a interpretare uno sceneggiato televisivo, nel ruolo di Pinocchio, magari, oppure di uno degli allievi della classe di De Amicis (a parte Franti, tutti o quasi munitissimi di buoni sentimenti) o, ancora, del protagonista di “Incompreso”.
Non sembrerebbe granché come risultato, nulla di decisivo da mettere sul piatto nel bilancio di una vita, ma il beneficio, per quanto indiretto, ovvero agisca per sottrazione, è enorme. Solo con una vita lontana dal successo momentaneo, fulmineo ma senza seguito, possiamo essere sicuri di sfuggire, nell’età più avanzata, all’infernale trappola del “Che fine hanno fatto?”
Si tratta di un meccanismo diabolico che oggi, stante l’eccesso di immagini a portata di Rete, i media mettono in tensione ogni momento. Che fine hanno fatto i personaggi minori di “Happy Days”? Che faccia ha oggi “Potsie” Weber? E Lori Beth, fidanzata a lungo termine e poi moglie di Richie Cunningham? Sarà invecchiata anche lei?
Si perché il “che fine hanno fatto” gioca su un falso stupore, ma stupore nondimeno: quello di vedere i segni della vecchiaia in facce che, protette dallo schermo televisivo e cinematografico, davamo per immutabili, presenti solo nella parentesi ben delimitata di un film o di un programma.
E allora sotto con una parata di paragoni impietosi: i giovani di allora, sorridenti e impeccabili nelle foto promozionali, e i “vecchi” di oggi: ingrassati o avvizziti, magari dimessi oppure colti nello sforzo, eroico ma sempre un po’ malinconico, di tenersi informa, di resistere al disfacimento imposto dal tempo e dalla biologia.
Non bastasse, ecco scattare anche il paragone professionale. Come se l’è cavata la celebrità di allora nella vita “reale”, una volta passata la stagione della gloria? Scopriamo così che il brillante attore caratterista ha dovuto arrangiarsi sul mercato immobiliare, ha fatto l’autista oppure ha aperto un bar. Mestieri sul quali normalmente non avremmo nulla da ridire ma che associati a un passato toccato dalla fama sembrano di colpo improbabili, goffi, perfino stravaganti.
C’è poi il caso che qualcuno sia incappato in qualche guaio giudiziario oppure sia passato attraverso una dipendenza - alcol, droga, gioco -, che qualcun altro abbia inanellato divorzi, si sia impegnato in politica o magari che abbia abbracciato un culto un po’ bislacco. E noi siamo pronti a scuotere la testa, come se nella vita questi personaggi avessero imboccato alla cieca strade che, dal nostro punto di vista, vediamo benissimo essere sbagliate e soprattutto inadatte a loro.
La curiosità, legittima, forse perfino innocente, spinge il meccanismo del “che fine hanno fatto” e ci fa dimenticare quanto sia ingiusto: far correre la pellicola di una persona avanti di trenta o quarant’anni senza concederle l’attenuante di quella lenta discesa sferzata dal vento che, per brevità, chiamiamo vita.
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