Il gioco

Il gioco

Quando frequentavo le scuole elementari - e, sì, il mondo era così recente che molte cose erano prive di nome - mi venne consegnato un giochino che doveva avere uno scopo altamente educativo. Si trattava di un mucchietto di tessere colorate, ritagliate nella forma delle regioni italiane: compito mio e degli altri alunni era quello di farle combaciare tutte, una dopo l’altra, in modo da ricomporre l’Italia nella sua interezza.

Non proprio la Playstation 3, d’accordo, ma, tutto sommato, un passatempo divertente. Ricordo che dava piacere trovare gli incastri giusti, sentire le regioni combaciare come avessero tra loro una connessione naturale, quasi fossero parti diverse di un solo corpo. L’Abruzzo, per esempio, aderiva perfettamente al dorso del Lazio, legandosi con un innesto spinto fino al cuore della regione confinante. La Toscana, poi, con tipica ostinazione, insisteva fino a scavalcare l’Umbria per affondare un uncino nelle pacifiche carni delle Marche.

Ricuciti i confini, alcuni scontati, altri più tortuosi, era bello ritrovarsi davanti alla familiare sagoma dell’Italia, così come riprodotta dall’atlante: non restava che sistemare Sicilia e Sardegna, due grandi  satelliti galleggianti, nella giusta posizione, e il gioco era fatto.

Per quanto già molto soddisfacente se svolto secondo le regole, il passatempo offriva una seconda possibilità, non autorizzata ma altrettanto dilettevole, ovvero quella di avventurarsi nella ricerca di nuovi, improbabili confini. Così, senza riguardo per la geografia, e ancor meno per la storia, si procedeva a incastrare la Basilicata nel Piemonte, la Puglia nell’Emilia-Romagna e la Liguria nel Trentino-Alto Adige. Ne usciva un pasticcio informe, geograficamente mostruoso, ma che, ripensandoci ora, realizzava a modo suo un progetto mai riuscito nella realtà.

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