Era domenica ma Salvatore volle alzarsi presto, ancora prima del solito. Sua moglie Rosaria dormiva: una collina rannicchiata sotto la coperta. Salvatore ne scorgeva il naso, esposto a convogliare un poco d’aria, e una ciocca di capelli grigi.
Scese dal letto e, nella semioscurità, non poté evitare di urtare il comodino. Afferrò al volo il bicchiere con le gocce prima che si infrangesse sulle piastrelle, ma il cucchiaino gli sfuggì e cadde, lanciando un breve allarme metallico nella quiete della camera da letto.
Imprecando, Salvatore afferrò i vestiti che la sera prima aveva lasciato sulla sedia e raggiunse il bagno, dove si concesse solo una sommaria abluzione, nel timore di far troppo rumore. Quindi percorse il corridoio con passo felpato e infilò le scale. Poco dopo usciva in strada.
Il paese era deserto. Sembrava uno di quei set cinematografici abbandonati dopo l’ultimo ciak. Inalando l’aria fresca del mattino, Salvatore si avviò di buon passo, attento a non scostarsi troppo dal marciapiede. Qualcuno avrebbe potuto vederlo, e non voleva correre rischi.
All’angolo della piazza quasi si trovò faccia a faccia col fanale della bici di Graziano, lo stradino, che rientrava sbandando dopo una notte passata di osteria in osteria. Fece appena in tempo a buttarsi in un portone: Graziano proseguì la sua marcia a serpentina senza dar segno di averlo visto. Sospirò: che rischio aveva corso! Ma gli era andata bene. Ancora pochi passi e sarebbe arrivato a destinazione: la facciata della scuola elementare biancheggiava dietro la guardia schierata di due palme.
Mezz’ora dopo, era di ritorno. Rosaria chiacchierava sull’uscio con una vicina: lo vide infilarsi in casa, quatto, lo sguardo basso sotto la coppola. La vicina si incuriosì: «Ma non era Salvo, quello?» «Sì». «E da dove viene, con quell’aria misteriosa?» Rosaria non trattenne un sorriso: «A votare, andò. Ma non lo confidò a nessuno, neanche a me: si vergogna, meschino!»
Scese dal letto e, nella semioscurità, non poté evitare di urtare il comodino. Afferrò al volo il bicchiere con le gocce prima che si infrangesse sulle piastrelle, ma il cucchiaino gli sfuggì e cadde, lanciando un breve allarme metallico nella quiete della camera da letto.
Imprecando, Salvatore afferrò i vestiti che la sera prima aveva lasciato sulla sedia e raggiunse il bagno, dove si concesse solo una sommaria abluzione, nel timore di far troppo rumore. Quindi percorse il corridoio con passo felpato e infilò le scale. Poco dopo usciva in strada.
Il paese era deserto. Sembrava uno di quei set cinematografici abbandonati dopo l’ultimo ciak. Inalando l’aria fresca del mattino, Salvatore si avviò di buon passo, attento a non scostarsi troppo dal marciapiede. Qualcuno avrebbe potuto vederlo, e non voleva correre rischi.
All’angolo della piazza quasi si trovò faccia a faccia col fanale della bici di Graziano, lo stradino, che rientrava sbandando dopo una notte passata di osteria in osteria. Fece appena in tempo a buttarsi in un portone: Graziano proseguì la sua marcia a serpentina senza dar segno di averlo visto. Sospirò: che rischio aveva corso! Ma gli era andata bene. Ancora pochi passi e sarebbe arrivato a destinazione: la facciata della scuola elementare biancheggiava dietro la guardia schierata di due palme.
Mezz’ora dopo, era di ritorno. Rosaria chiacchierava sull’uscio con una vicina: lo vide infilarsi in casa, quatto, lo sguardo basso sotto la coppola. La vicina si incuriosì: «Ma non era Salvo, quello?» «Sì». «E da dove viene, con quell’aria misteriosa?» Rosaria non trattenne un sorriso: «A votare, andò. Ma non lo confidò a nessuno, neanche a me: si vergogna, meschino!»
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