Ci sono giorni in cui la signora di cui sto per fare il nome andrebbe evitata. La ragione non sta nel fatto che la signora di cui sopra è persona sgradevole, tutt'altro. Piuttosto, bisogna considerare che ella, nel porsi al prossimo, non fa alcuno sforzo per nascondere una ricca vena di pessimismo e, soprattutto, l'inesauribile sorgente di cinismo che alimenta il suo pensiero.
Uno di questi giorni è senza dubbio San Valentino. La sola idea di ciò che la signora Malinpeggio potrebbe fare del concetto stesso della festa degli innamorati, scuote la mia sensibilità e turba il mio intelletto. Per questa ragione, ieri, sono uscito di casa e ho percorso il paese in lungo e in largo finché non l'ho trovata.
Sono lieto di riferire l'esito della nostra conversazione oggi, 15 febbraio, a festa conclusa. Il 15 febbraio, se ci si pensa, è il giorno più lontano possibile da San Valentino: un anno intero prima che ne cada un altro. Si potrebbe dire che è l'anti-San Valentino: il giorno perfetto, dunque, per dar spazio alle idee della signora sulla festa più sdolcinata.
Non appena la incontro butto lì la domanda e attendo la risposta tappandomi le orecchie come per lo scoppio di una granata: “Signora, che cosa pensa di San Valentino?”
“Niente in contrario”.
“Davvero?” stupisco scoprendomi le orecchie.
“Certo che no. A una condizione. Non so come voialtri giovinastri pensiate all'amore, ma io credo si manifesti quando una persona, camminando, cammina anche con le gambe dell'altra e quando guarda, vede anche con gli occhi dell'altra. Se il suo braccio si allunga a sfiorare qualcosa, sarà la mano dell'altra a sentirne la carezza e se la sua bocca dirà una parola sarà perché è l'altra persona ad averla pensata. Se poi il suo cuore dovesse battere veloce, anche l'altro avrà un sobbalzo e se la sua pelle sarà madida per esausta felicità, anche l'altra dovrà sentire su di sé la dolcezza di quel languore”.
“E la condizione?”
“Se riesce a ficcare tutta quella spataffiata nei cioccolatini, allora buon San Valentino!”
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