Il Giro

Il Giro

Sbaglierò, ma quest’anno il Giro d’Italia non sta facendo grande presa. Mancano campioni in grado di accendere la fantasia, o forse gli accurati controlli antidoping limitano le prestazioni degli atleti rendendo più difficili, e rare, certe imprese, come quella, siamo nel lontano 1971, che vide un anonimo pedalatore doppiare la Tyrrell di Jackie Stewart sul circuito del Nürburgring.

O forse sono io che ho seguito distrattamente la corsa, compreso da altri problemi e turbato da altre evenienze: metterà la Juve la terza stella sulla maglia? Avranno ragione i Maya sulla fine del mondo? Ma Monti, quando parla, almeno la moglie lo ascolta?

Comunque sia, un certo restyling, per così dire, al Giro non guasterebbe. Gli organizzatori hanno ancora questa obsoleta concezione della corsa come veicolo turistico. Ed ecco, in tv, abbondare le inquadrature pittoresche, in un trionfo di campagne, costiere, laghi, borghi medioevali e campanili. Tutta roba datata e poco rappresentativa dell’Italia di oggi. Perché non organizzare, invece, delle tappe tematiche? Una bella frazione con partenza e arrivo da due ecomostri particolarmente orripilanti. Oppure un tappa che, in rapida sequenza, colleghi tutti i Comuni commissariati per infiltrazioni mafiose. Ancora, perché non pensare a una cronometro a bande armate, invece che a squadre, oppure a un tappone alpino con arrivo in Svizzera e possibilità, per i primi tre al traguardo, di depositare una somma a loro discrezione su un conto segreto.

Fantasia, insomma, creatività: e più aderenza all’attualità, alle tendenze dell’Italia contemporanea. Anche il nome va rinfrescato: più che Giro d’Italia potrebbe essere Presa in Giro. L’unica corsa - e l’unico Paese -  in cui, anche se la strada è ondulata, pianeggiante o addirittura in discesa, si ha sempre l’impressione di andare in salita.

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