Uno dei più importanti patrimoni italiani e l'unico, forse, ancora intatto è quello degli accenti che, come spezie, risultano sparsi con eguale generosità su tutta la Penisola. Dico accenti e non dialetti perché questi ultimi, in alcune aree, sono da tempo trascurati in favore dell'italiano, o di una sua stentata parodia. Gli accenti, invece, resistono. E attecchiscono: lo dimostra la parlata bresciana di Balotelli.
Tra gli accenti che preferisco c'è quello romagnolo. Durante il servizio militare per una settimana fui comandato alla guardia in polveriera con un commilitone riminese: insieme dovevamo svolgere una ronda tra le baracche piene di esplosivi. Per far passare il tempo, chiedevo al commilitone di ripetere frasi che mi venivano in mente, solo per sentirle declinare nel suo pastoso accento d'origine. Egli per un po' acconsentiva ma alla lunga, esasperato, mi invitava a “piantarla, brott cancarazz, altrimenti ti tiro una fucilata”.
La storia mi è venuta in mente leggendo, ieri, di una polemica, a Faenza, sulla decisione della giunta di chiudere il centro alle auto. Il Corriere di Romagna ha raccolto l'indignazione delle opposizioni. Si tratterebbe di una diatriba locale, per nulla originale, se non potessimo, usando l'immaginazione, insaporirla applicandovi l'opportuna inflessione dialettale. “L'assessore – ha detto un'esponente del Pdl – ha una concezione dell'inquinamento molto zonizzata”. Riuscite a immaginare come direbbe la parola “zonizzata” un romagnolo? E ancora, alle affermazioni della maggioranza che il provvedimento avrebbe portato in centro frotte di pedoni e ciclisti, una consigliera di minoranza, scettica, risponde: “A Medjugorje qualcuno dice di aver visto la Madonna: è niente in confronto a quello che sta succedendo a Faenza”. Un'ironia così, non volgare ma piuttosto terra a terra, ha bisogno dell'accento per volare e farsi gagliarda, per colpire e restare nella memoria. Senza accenti gli italiani non sarebbero più capaci di parole. Solo di dichiarazioni a mezzo stampa.
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