L’ultimo a consegnarsi al Gran Deposito è stato il prefetto di Napoli, Sua Eccellenza Andrea De Martino.
L’ammissione del De Martino al Deposito si deve all’intemerata nei confronti del sacerdote anticamorra don Maurizio Patriciello, "reo" di essersi rivolto al prefetto di Caserta, Carmela Pagano, chiamandola semplicemente "signora". Che non è un’offesa, anzi, ma nel mondo del prefetto De Martino, ancora intessuto di protocolli, titoli, onorificenze, precedenze e galatei, è espressione gravemente insufficiente. «Si immagini» ha sbraitato, «se lei si rivolgesse al sindaco chiamandolo "signore"!» Impagabile, a quel punto, l’espressione del sacerdote, del tutto incapace di afferrare la tremenda insolenza insita nel rivolgersi a un sindaco - un sindaco: nientemeno! - dicendogli "signore".
Pensavamo che Totò, con il suo irresistibile repertorio di "ma mi faccia il piacere", "siamo uomini o caporali?", "colonnelli in borghese con il cappello in divisa" ci avesse finalmente liberato di questo ciarpame ottocentesco, affrancandoci dai cascami di un tempo in cui le istituzioni - per le quali il querulo funzionario statale vorrebbe "rispetto" - pretendevano di gravare sulla testa degli uomini e delle donne, solo formalmente garantendo loro una transizione da "sudditi" a "cittadini", in realtà offrendosi quali altari carichi di vanagloria all’umile adorazione di chi doveva rassegnarsi ad appartenere al "popolino".
Consoliamoci: laddove fallì lo spirito di Totò, riuscirà la tecnologia. L’intemerata del prefetto è finita in un video e il video è stato pubblicato sulla Rete. L’occhio imparziale, limpido e candido della telecamera ha immortalato le parole del funzionario in tutta la loro risibile e grottesca pomposità. Consegnando Sua Eccellenza, per sempre (perché eterne sono le tracce digitali lasciate su Internet), al Gran Deposito della Stupidità.
L’ammissione del De Martino al Deposito si deve all’intemerata nei confronti del sacerdote anticamorra don Maurizio Patriciello, "reo" di essersi rivolto al prefetto di Caserta, Carmela Pagano, chiamandola semplicemente "signora". Che non è un’offesa, anzi, ma nel mondo del prefetto De Martino, ancora intessuto di protocolli, titoli, onorificenze, precedenze e galatei, è espressione gravemente insufficiente. «Si immagini» ha sbraitato, «se lei si rivolgesse al sindaco chiamandolo "signore"!» Impagabile, a quel punto, l’espressione del sacerdote, del tutto incapace di afferrare la tremenda insolenza insita nel rivolgersi a un sindaco - un sindaco: nientemeno! - dicendogli "signore".
Pensavamo che Totò, con il suo irresistibile repertorio di "ma mi faccia il piacere", "siamo uomini o caporali?", "colonnelli in borghese con il cappello in divisa" ci avesse finalmente liberato di questo ciarpame ottocentesco, affrancandoci dai cascami di un tempo in cui le istituzioni - per le quali il querulo funzionario statale vorrebbe "rispetto" - pretendevano di gravare sulla testa degli uomini e delle donne, solo formalmente garantendo loro una transizione da "sudditi" a "cittadini", in realtà offrendosi quali altari carichi di vanagloria all’umile adorazione di chi doveva rassegnarsi ad appartenere al "popolino".
Consoliamoci: laddove fallì lo spirito di Totò, riuscirà la tecnologia. L’intemerata del prefetto è finita in un video e il video è stato pubblicato sulla Rete. L’occhio imparziale, limpido e candido della telecamera ha immortalato le parole del funzionario in tutta la loro risibile e grottesca pomposità. Consegnando Sua Eccellenza, per sempre (perché eterne sono le tracce digitali lasciate su Internet), al Gran Deposito della Stupidità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA