Il grande dietrofront

Il Comune ha messo una bella panchina di pietra sotto le fronde di un faggio e la signora Malinpeggio vi si è installata in permanenza. La vedo da lontano, raccolta e composta come sempre. Il capo è chino: sta leggendo un libro di formato economico. Quattro salti, magari cinque, e la raggiungo. «Buongiorno! Lettura interessante?».

«Certo più della sua conversazione».

Senza offendermi, indico il libro: «Di che cosa si tratta?».

La signora mi concede una rapida occhiata alla copertina: «Witold Gombrowicz - Ferdydurke».

«Sembra un mattone» commento. «Lei lo trova buono?».

«Legga questo capoverso».

Eseguo: «Presto ci renderemo conto che morire per idee, stili, tesi, slogan e credenze non è importante, e neanche barricarcisi dentro. No, la cosa veramente importante è un’altra, e cioè fare un passo indietro e prendere le distanze da tutto quanto ci accade. Dietrofront. Sento (ma quasi non oso ancora dirlo) che l’ora del grande dietrofront non è lontana. Il figlio della terra capirà di non esprimersi secondo la sua vera natura, bensì sempre e soltanto con una forma artificiosa e dolorosamente imposta dall’esterno, un po’ dalla gente, un po’ dalle circostanze. Comincerà allora ad avere paura e a vergognarsi di quella stessa forma di cui fino a poco fa era tanto fiero. Presto cominceremo a temere le nostre persone e personalità, scoprendo che non sono interamente nostre. E invece di sbraitare: “Io credo questo, io sento quest’altro, io sono fatto così, io la penso cosà”, diremo umilmente: “A me viene da credere, a me viene da sentire, a me viene da dire, da fare, da pensare così”. Il vate ripudierà il suo canto. Il comandante tremerà davanti ai propri ordini. Il prete temerà l’altare e la madre inculcherà nel figlio, oltre ai principi, anche il modo di eluderli, perché non ne resti soffocato».

Restituisco il libro badando a tenere il segno. «Lei pensa che abbia ragione?» chiedo.

La signora mi guarda in tralice: «A me viene da pensare di no».

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