Parliamo di vecchiaia. Lo so che non volete, ma io insisto. È ammesso parlare di vecchiaia solo se lo si fa in tono un po’ accondiscendente: ah, se non ci fossero i nonni; ma che brava la signora Maria che a 95 anni legge tutti il giorni il giornale dalla prima all’ultima riga!
Trattiamo gli anziani come trattiamo i bambini. In questo senso, gli adulti sono creature curiose. Prendono le distanze sia dall’infanzia sia dalla terza età e considerano solo i loro simili. Dimenticano che l’infanzia è ancora dentro di loro e che la vecchiaia li aspetta dietro l’angolo: beninteso, se saranno fortunati.
Nel frattempo, progettano attività da imporre a chi ha più anni sulle spalle e, per questa precisa ragione, ha con il tempo a sua disposizione un rapporto più consapevole ed essenziale. Le intenzioni sono buone: si vuole che gli anziani assomiglino di più agli adulti forse per poterci parlare come se fossero - oh, mamma - persone “normali”.
In America,per esempio, c’è chi si preoccupa perché «i due terzi della popolazione oltre gli ottanta anni non usa Internet». Personalmente, mi stupisco per quel terzo che, invece di godersi la gloriosa stagione della saggezza annusando rose, sorseggiando un dito di vino rosso e ascoltando musica immortale, trova necessario ficcare il naso in uno schermo di computer. Per fare cosa? Mettere “mi piace” alle foto delle vacanze di qualcun altro, recensire un filmino porno, mandare una mail ai figli che, con ogni probabilità, saranno troppo occupati per rispondere?
Comprendo che è facile associare la frequentazione di Internet con la comprensione del mondo nella sua evoluzione: chi va su Google è tecnologicamente aggiornato e chi è tecnologicamente aggiornato, oggi, è considerato evoluto e sapiente, saggio e produttivo. Non è vero, ovviamente, c’è ben altro, fuori dalla Rete. Spererei di aver tempo, almeno nella terza età, di esplorare il ben più vasto network dei sentimenti e della misericordia.
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