Può esistere un dipinto di Leonardo da Vinci “brutto”? Tutto poggia, evidentemente, sull’estrema ambiguità dell’aggettivo “brutto”. Se messo a paragone con qualunque disegno che potremmo produrre voi e io, la risposta è no, non esiste un dipinto di Leonardo “brutto”. Neppure esiste uno schizzo di Leonardo che possa definirsi tale o una perfino nota della spesa, o il foglietto sul quale annotò il numero di cellulare di Ludovico il Moro. Se paragonati, ricordiamolo, ai nostri tentativi patetici.
Ma se Leonardo lo paragoniamo a Leonardo stesso, allora forse sì. Il “Salvator Mundi” venduto l’altro giorno all’asta per 450,3 milioni di dollari è un Leonardo “brutto”. Non lo dico io, beninteso, ma il critico del New York Times Jason Farago: “Un competente ma non particolarmente notevole dipinto religioso lombardo del XVI Secolo, passato attraverso pesanti restauri”. E aggiunge, più secco: “It’s no Mona Lisa”.
Ma allora perché “vale” 450 milioni? Perché, spiega Farago, chi lo ha comprato non voleva la bellezza, ma un marchio: il marchio di Leonardo. Vale tanto perché è fatto da Leonardo e perché è un pezzo unico. In questo, c’è tutta l’essenza del collezionismo il quale, se applicato con questo rigore e con questa dissipazione, perde anche l’ultimo legame con la ragione fondamentale dell’arte, quell’equilibrio tra emozione, bellezza e comunicazione che, da dietro a una pila di banconote, il “Salvator Mundi” non riesce suo malgrado a raggiungere.
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