Il limite femminile

In principio furono le giacche, militari e operaie, di Mao. La rivoluzione cinese vestiva, letteralmente, in uniforme.

Dopo l'uniforme, con Deng Xiao-Ping, vennero i completi grigio scuro, le camicie bianche e le cravatte tutte uguali. Ora, è arrivata Peng. Che non è un vestito, tantomeno un'uniforme, ma una persona. Addirittura, una donna: Peng Liyuan.

I giornali in Cina la chiamano orgogliosamente "first lady" - non a torto, visto che è la moglie del presidente del presidente Xi Jinping - e non esitano a scrivere che «finalmente» il Paese è rappresentato da una signora all'altezza. All'altezza in che senso? Soprattutto nel vestire. Nel Paese in cui, al massimo livello politico, uniformi di lavoro e completi da due soldi erano lo standard, appare oggi quasi miracoloso che una signora ben curata giri il mondo al fianco del potente marito esibendo abiti eleganti, accompagnati da scarpe e borsette perfettemente coordinate. «Dopo tanti anni - dice Zang Yu, direttore dell'edizione cinese di Vogue - abbiamo una first lady che ci rappresenta in modo appropriato. È una svolta storica».

Visto quanto abbiamo appena detto a proposito di giacche scadenti e umili uniformi, è facile essere d'accordo con Zang. Sarebbe ancora più facile se ci si mettesse d'accordo su che cosa significa rappresentare un Paese in «modo appropriato». Faremmo bene a chiedercelo anche noi, sia chiaro, rappresentati da un serraglio politico in cui il termine "impresentabile" è ripetuto a ogni piè sospinto, ma la Cina, abbagliata dal fascino Grandi Firme della signora Peng, non è esente dalla questione. Una signora ben vestita e dalle maniere perfette può rappresentare il meglio della cultura di un Paese evoluto così come il suo limite assoluto, ovvero la costrizione dell'immagine femminile in una angusta cornice di levità, gusto e poco altro. Il timore è che, anche in questo campo, la voglia della Cina di affiancare l’Occidente sia tale da farle mancare la spinta per superarlo.

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