Ieri mi sono presentato al cospetto dei miei libri. Il che non deve far pensare a una scena grandiosa: la mia biblioteca non è quella di Alessandria e io non sono Cicerone. Nonostante ciò, qualcosa di solenne deve essere accaduto perché, di fronte agli scaffali, non ho potuto trattenere un singulto e, insieme, una domanda: «Cari libri, che cosa sarei senza di voi?»
Si può ridere di questo patetico siparietto e, normalmente, consiglierei tutti voi di farlo senza timore di offendere la mia sensibilità. Se non che la mia domanda, così ingenua e sentimentale, per non dire vergognosa e indecente, pone una questione di straordinaria importanza: avete mai pensato che cosa sareste senza i libri che avete letto? Che cosa pensereste dell’amore senza aver letto "Anna Karenina" e dell’amicizia virile senza le pagine di Chandler? E che cosa potreste dire dell’anima vostra senza aver letto Dante, della vita senza aver letto Boccaccio e di pressoché tutto il resto senza aver letto, almeno in parte, Shakespeare?
Mi inquieta, a volte, il pensiero di quanto un sacripante come Miguel de Cervantes, narrando delle imprese del suo cavaliere della Mancha, abbia condizionato il mio modo di considerare sogno e realtà e, in particolare, la mia personale disposizione su quanto ammettere del primo nella seconda. Pare niente, ma ancora ricordo l’emozione provata nel leggere, per la prima volta, la replica del buon Don Chisciotte al religioso che, troppo bruscamente, lo ammoniva perché rinunciasse alle sue bizzarrie da cavaliere errante: «Io ho dato soddisfazione a ingiurie, raddrizzato torti, castigato insolenze e vinto giganti».
Senza aver la pretesa di aver fatto altrettanto - proprio no - l’orgogliosa rivendicazione del cavaliere ha sempre fatto parte di me e, davanti a conflitti, scelte politiche, dilemmi morali, ha sempre scelto per mio conto da che parte stare. Il mondo senza i miei libri è un luogo, direbbe Cervantes, «de cuyo nombre no quiero acordarme», di cui non voglio ricordare il nome.
Si può ridere di questo patetico siparietto e, normalmente, consiglierei tutti voi di farlo senza timore di offendere la mia sensibilità. Se non che la mia domanda, così ingenua e sentimentale, per non dire vergognosa e indecente, pone una questione di straordinaria importanza: avete mai pensato che cosa sareste senza i libri che avete letto? Che cosa pensereste dell’amore senza aver letto "Anna Karenina" e dell’amicizia virile senza le pagine di Chandler? E che cosa potreste dire dell’anima vostra senza aver letto Dante, della vita senza aver letto Boccaccio e di pressoché tutto il resto senza aver letto, almeno in parte, Shakespeare?
Mi inquieta, a volte, il pensiero di quanto un sacripante come Miguel de Cervantes, narrando delle imprese del suo cavaliere della Mancha, abbia condizionato il mio modo di considerare sogno e realtà e, in particolare, la mia personale disposizione su quanto ammettere del primo nella seconda. Pare niente, ma ancora ricordo l’emozione provata nel leggere, per la prima volta, la replica del buon Don Chisciotte al religioso che, troppo bruscamente, lo ammoniva perché rinunciasse alle sue bizzarrie da cavaliere errante: «Io ho dato soddisfazione a ingiurie, raddrizzato torti, castigato insolenze e vinto giganti».
Senza aver la pretesa di aver fatto altrettanto - proprio no - l’orgogliosa rivendicazione del cavaliere ha sempre fatto parte di me e, davanti a conflitti, scelte politiche, dilemmi morali, ha sempre scelto per mio conto da che parte stare. Il mondo senza i miei libri è un luogo, direbbe Cervantes, «de cuyo nombre no quiero acordarme», di cui non voglio ricordare il nome.
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