Sarà anche vero che, come dice Roberto Benigni, la politica va amata: ancor più della politica, a mio modesto avviso, va amata la cultura, nonostante sia difficile definirla con precisione.
Tendo a privilegiare la cultura alla politica perché senza la prima ben difficilmente si potrà contare su una versione decente della seconda. Se permettete l’ardita metafora, la politica è come uno splendido pianoforte Steinway a disposizione di tutti noi perché si facciano vibrare le sue corde in armonia, quando è il caso, o in onde ardite e sperimentali il giorno in cui dovessimo decidere che è opportuno cambiare aria al sistema. Oggigiorno gli interpreti della politica, fatte le dovute eccezioni, come pianisti non sembrano in grado di riconoscere un Si bemolle da un calzino di Giovanardi.
I buoni interpreti - mi rendo conto che la metafora sta diventando stucchevole e prometto di liberarmene presto - si formano dunque non sulla base di un astratto amore per il nobile pianoforte, ma per un più generale interesse per le armonie, i ritmi, le fughe impetuose e i ricami delicati con cui la musica muove e, si spera, eleva l’animo umano.
Con l’educazione, lo stile, la sensibilità e la capacità di riflessione critica di cui oggi i più danno prova è difficile illudersi che, presto, sentiremo nell’aria motivi particolarmente brillanti o sinfonie da resuscitare i morti. Al contrario - e scusandomi in anticipo per l’inevitabile effetto altero che avranno le mie parole - nelle strade si nota soprattutto una esasperata assenza di misura, di assennatezza, di passione generosa e di disciplina spirituale: tutte cose che, insieme, compongono nell’individuo e nella società quella cosa che, per approssimazione, chiamiamo cultura. Non si vede allora chi possa accostarsi con la dovuta sapienza al magnifico Steinway della politica. Troppi di quelli che conosciamo vorrebbero, tanto per incominciare, farselo rimborsare dalla Regione.
Tendo a privilegiare la cultura alla politica perché senza la prima ben difficilmente si potrà contare su una versione decente della seconda. Se permettete l’ardita metafora, la politica è come uno splendido pianoforte Steinway a disposizione di tutti noi perché si facciano vibrare le sue corde in armonia, quando è il caso, o in onde ardite e sperimentali il giorno in cui dovessimo decidere che è opportuno cambiare aria al sistema. Oggigiorno gli interpreti della politica, fatte le dovute eccezioni, come pianisti non sembrano in grado di riconoscere un Si bemolle da un calzino di Giovanardi.
I buoni interpreti - mi rendo conto che la metafora sta diventando stucchevole e prometto di liberarmene presto - si formano dunque non sulla base di un astratto amore per il nobile pianoforte, ma per un più generale interesse per le armonie, i ritmi, le fughe impetuose e i ricami delicati con cui la musica muove e, si spera, eleva l’animo umano.
Con l’educazione, lo stile, la sensibilità e la capacità di riflessione critica di cui oggi i più danno prova è difficile illudersi che, presto, sentiremo nell’aria motivi particolarmente brillanti o sinfonie da resuscitare i morti. Al contrario - e scusandomi in anticipo per l’inevitabile effetto altero che avranno le mie parole - nelle strade si nota soprattutto una esasperata assenza di misura, di assennatezza, di passione generosa e di disciplina spirituale: tutte cose che, insieme, compongono nell’individuo e nella società quella cosa che, per approssimazione, chiamiamo cultura. Non si vede allora chi possa accostarsi con la dovuta sapienza al magnifico Steinway della politica. Troppi di quelli che conosciamo vorrebbero, tanto per incominciare, farselo rimborsare dalla Regione.
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