Sapete come sono fatti certi neuroscienziati. Vedono passare un cervello e non resistono alla tentazione di applicarvi una raffica di elettrodi. Il loro scopo, peraltro nobilissimo, è quello di capire “come funziona” la nostra testa, ovvero quali aree dell’encefalo si attivano in risposta a determinati i stimoli e quali altre entrano in gioco allo scopo di produrre certe azioni. Ma non basta: alcuni scienziati particolarmente curiosi hanno voluto esaminare il cervello anche quando il possessore del medesimo non è sottoposto a stimoli né gli viene chiesto di provvedere ad azioni. In altre parole, una volta applicati gli elettrodi, al soggetto è stato chiesto soltanto di star buono e “non fare niente”.
Risultato, si è scoperto che il soggetto in questione, così come sarebbe accaduto a tutti noi, non era semplicemente in grado di “fare niente”. Certo, in apparenza sembrava un pezzo di legno abbandonato su una sedia, ma il suo cervello, pur in teoria completamente a riposo, continuava a funzionare e a consumare energia biologica.
Ma che cosa fa il cervello quando “non fa niente”? Benché tutti noi abbiamo idea di cosa accada quando ci abbandoniamo lì, in poltrona o a letto, su un’amaca o sul divano, a poltrire, gli scienziati ora sono in grado di descrivere il processo con precisione: quando facciamo i lazzaroni, in realtà stiamo “costruendo narrativa”.
Fantasticherie, incubi, scenari paurosi, proiezione di nevrosi, allucinazioni e favole: una rete di “storie” che, suggerisce la neuroscienza, costituisce la base stessa della nostra identità. Un ribollire di pensieri che, quando siamo attivi, tendiamo a sminuire. Sbagliamo: esso è il confine ultimo del nostro confronto con il mondo reale. Gioia, paura, ansietà, rabbia e malinconia sono i polpastrelli con i quali il cervello esplora la realtà circostante, ricavandone sensazioni personali, del tutto soggettive, che costruiscono l’unico mondo per noi possibile, e con noi destinato, con tutte le sue meraviglie e i suoi orrori, a scomparire.
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