Il moto perpetuo

Vorrei augurarmi e augurarvi un autunno meteorologicamente piacevole o addirittura sorprendente ma temo che, almeno in via precauzionale, sia giunta l'ora del commiato.

Vado a spiegarmi meglio. Ieri, passeggiando in una luce quasi miracolosa, soffusa come impalpabile frequenza angelica in un lunedì di tardo settembre, mi sono detto che era il momento di mostrarsi riconoscenti e tempestivi. Riconoscenti per lo straordinario potere taumaturgico della luce estiva e tempestivi nel congedarci da essa: è possibile, e anzi auspicabile, che altre giornate di eterea purezza ci vengano regalate nelle prossime settimane, ma è certo che presto accadrà l'inevitabile, ovvero il grigio, ovvero l'inverno. Sarà vero che solo il contrasto con il brutto ci fa apprezzare il bello, e che solo il distacco dell'insulso esalti il piacevole, ma è innegabile che la durezza e il grigiore del cielo d'inverno quando ci sovrasta tendono ad avere sul nostro animo un effetto anestetico e a sottrarre ai gesti e alle parole quel tanto di entusiasmo in cui è racchiusa la poesia della vita.

Ecco perché ieri, immerso nella luce miracolosa di cui sopra, sotto la cupola di un cielo azzurro screziato da sbuffi candidi - seta finissima di un abile stampatore -, mi sono congedato dalla bella stagione come avrebbe fatto, tra uno sbadiglio e l'altro, un animale letargico. Arrivederci ai bagliori sulle foglie scure di magnolia, arrivederci ai riflessi quasi siberiani nelle pozzanghere e arrivederci a certi calori estremi, desertici, che colgono nel bel mezzo delle piazze, dove l'ombra ci precede lunga e netta, guida guardinga in territori difficili. Arrivederci ho detto, perché alle belle stagioni non si dice mai addio. Si spera di rivederle presto, e nel congedarsi ci si rende conto che l'universo impone anche allo spirito una legge fisica: nonostante l'apparente regolarità del meccanismo astrale, il nostro unico moto perpetuo è la speranza.

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