Il nome della lista

Il nome della lista

Con l’apparizione sulla scena politica delle formazioni "Fratelli d’Italia" e "Alba Dorata" siamo ufficialmente arrivati al capolinea dell’arte antichissima di nominare i partiti. Non voglio, qui, giudicare programmi e posizioni dei due gruppi succitati (in realtà, vorrei discutere un poco il programma di "Alba Dorata" ma è scritto in alfabeto runico e io, purtroppo, non pratico tali caratteri): le mia osservazione riguarda solo e soltanto i nomi.

C’era un tempo in cui i partiti racchiudevano la sintesi della loro ispirazione culturale e politica in definizioni ("Democrazia cristiana", "Partito comunista") che presto diventavano sigle (Dc, Pci) un poco spartane, addirittura burocratiche. Oggi, benché alcune sigle permangano (Pd, Pdl) i nomi si fanno più estroversi e frondosi ("Fareitalia per la Costituente Popolare", "Futuro e Libertà per il Terzo Polo"): siamo arrivati, se così si può dire, al barocco della politica.

Facile osservare che si tratta di un meccanismo di autodifesa: partiti dai ricchi contenuti ideologici non avevano bisogno di nomi fantasiosi; al contrario, le nuove formazioni, nate in un sospetto vuoto di idee e proposte, figlie di strategie piuttosto che di ideali, ammantano se stesse con fulgente retorica o improbabile dignità: basti pensare al "Movimento di Responsabilità Nazionale" dell’onorevole Domenico Scilipoti.

Mi rendo conto: i nomi dei partiti poco importano e sono le persone che ci stanno dietro a contare. In questo senso, si può dire che non poche facce smascherano la velleità di certe intitolazioni pompose. Forse basterà questo, nel momento fatidico della cabina elettorale, per salvare il Paese: sovrapporre i simboli alle ghigne, anestetizzare la vuota enfasi con le mascelle arroganti, gli occhi avidi e le narici cavernose. Sovrapporre e votare per il volto che, tra tanti, ci appare il più umano.

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