Il nostro Dna

L’ultimo che ho sentito avanzare con determinazione - con ruggente determinazione, direi - questo tipo di curiosa certezza è stato Beppe Grillo. Nientemeno che dal palco allestito al Circo Massimo ha urlato nel microfono: «Non chiedetemi di mollare, perché non è nel mio Dna».

Resto sempre ammirato da chi sa con assoluta precisione che cosa c’è nel suo Dna: «Lo sport è nel mio Dna». Come l’esempio di Grillo rende lampante, spesso si riscontra anche altrettanta convinzione nell’affermare ciò che nel Dna non ci sarebbe: «La violenza non è nel mio Dna». Molto frequente è anche una curiosa - e non so quanto geneticamente corretta - rivendicazione di Dna collettivo: «La solidarietà è nel nostro Dna».

È bello - credo - essere circondati da gente che conosce il proprio Dna come, una volta, conosceva le sue tasche ma, per me, è anche un pochino preoccupante. Il fatto, vedete, è che io non so che cosa c’è nel mio Dna. Non ci ho mai guardato dentro.

Rivendicando la presenza o l’assenza di qualcosa nel Dna, i più intendono sostenere che una certa caratteristica personale (l’onestà o, nel caso di assenza, la disonestà; il rigore o, al contrario, il lassismo) appartiene loro al punto di essere pre-scritta nei geni e pertanto va ritenuta immutabile e inviolata. Peccato che poi le stesse persone siano ondivaghe e poco coerenti, confuse e contraddittorie: che anche questa sia una caratteristica iscritta nel loro Dna? Può darsi: di certo, però, non ho mai sentito nessuno vantarsene.

Prima che questa ventata di genetica investisse il linguaggio, usava fregiarsi di una buona qualità sostenendo provenisse da un’educazione rigorosa: «I miei genitori mi hanno insegnato che non si dicono le bugie». Oggi, si direbbe che «le bugie non sono nel nostro Dna« o che, approccio opposto, «la verità è nel medesimo». Personalmente, preferisco considerare il mio Dna un quaderno bianco: strada facendo cercherò di riempirlo di cose buone o quantomeno decenti. Ma, sia chiaro, parlo solo per me stesso. Scusate, ma è nel mio Dna.

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