Dicono le cronache che un altro ciclista professionista, Mauro Santambrogio, sarebbe stato trovato positivo all’Epo. Non il primo, certamente. Non l’ultimo, probabilmente.
Ricordiamo tutti come particolarmente toccante il tracollo del marciatore azzurro Alex Schwazer, pizzicato la scorsa estate, alla vigilia della gara olimpica, con un livello di Epo oltre la soglia ammessa. Una transizione spettacolare e rovinosa, quella di Schwazer, passato in poche ore, nell’opinione del pubblico, da ingenuo montanaro a perfido truffatore, da idolo delle mamme a pericoloso tossicodipendente. Anche per la ragione che a queste drammatizzazioni è difficile credere, sarà il caso, uno di questi secoli, di riconsiderare la nostra impostazione culturale nei confronti della chimica.
I casi del ciclista e del marciatore suscitano in molti di noi la repulsione che proviamo per le droghe, ovvero sostanze introdotte nel corpo per fini ricreativi o per incrementare, nonostante espresso divieto, le prestazioni sportive. Un contesto in cui la chimica finisce per assumere l’aspetto di una pratica obbrobriosa: quasi una magia nera. In altri casi, però, la chimica assume una veste diversa: quando aspettiamo che un’aspirina ci liberi dal mal di testa, o quando un laboratorio annuncia di aver terminato la sperimentazione di un nuovo farmaco anti-tumorale.
È lecito pensare che, nel prossimo futuro, le conquiste scientifiche renderanno sempre più incerto il confine tra chimica Bianca e chimica Nera. Per considerarla nel suo valore e nei suoi limiti bisognerebbe convincersi che, frutto della chimica è tutto quanto ci condiziona in un modo o nell’altro: nel suo piccolo, anche l’introduzione in pancia delle tagliatelle ha le sue conseguenze.Quando pronunciamo una sentenza di condanna morale per un ciclista dopato, o anche quando propendiamo per la comprensione e il perdono, a parlare per noi, tra le molecole del cervello, è sempre una reazione da piccolo chimico.
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