Il pomodoro sulla camicia

Noto con perplessità che è tornato in auge il razzismo. Naturalmente, si tratta di un’assurdità: ostentare idee razziste nel 2013 è come andare in giro con la redingote e le ghette. Si può fare, ma è ridicolo.

Molti non la pensano così e dicono che questo razzismo latente (o non latente) è in realtà pericoloso. Non so, forse hanno ragione. Verrebbe da pensarlo leggendo le varie cronache degli insulti, disseminati per la Rete, rivolti al ministro Cecile Kyenge (insulti ai quali si è associato anche un consigliere comunale di Triuggio, in Brianza, un individuo troppo idiota per meritare, qui, una citazione specifica) e verrebbe da crederlo assistendo a un reportage tv dedicato agli insorgenti focolai di neonazismo e antisemitismo in giro per l’Europa, in particolare in Ungheria. Dunque, potrebbe anche essere pericoloso. Io torno però a ciò che so per certo: il razzismo è ridicolo. D’altra parte, una cosa non esclude l’altra.

Ridicolo in fondo lo è sempre stato: chiaramente un argomento per chi non ha argomenti. E il modo più aggressivo per dire: ho paura. Il che fa ridere: è come dire «ti spacco la faccia perché me la sto facendo addosso». Che questo concetto abbia poi partorito tragedie non cambia la sostanza: rimane ridicolo. Oggi, poi, il razzismo è ancora più ridicolo perché, con tutta evidenza, sono le nazioni che lo hanno superato (almeno in larga parte) a ottenere i migliori risultati: pescano cervelli in ogni parte del mondo senza badare al colore della pelle ma alla qualità delle idee. Così facendo, costringono anche noi, impantanati nel guado tra ragione e pregiudizio, a superare di slancio, pur senza volerlo, ogni barriera razziale. Nel telefonino che abbiano in tasca, nel computer sulla scrivania, nella plastica che usiamo, nella musica che ascoltiamo, nei pensieri che concepiamo c’è già un arcobaleno di fatto. Possiamo negarlo o ignorarlo? Ma certo: come fa quel patetico comico d’avanspettacolo con il pomodoro che, dalla sala buia, gli arriva dritto sulla camicia.

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