Il posto della valigia

Finalmente ho capito che cosa mi piace dei viaggi a parte il fatto che tengono lontano dal lavoro, fanno incontrare gente nuova, vedere posti meravigliosi, assaggiare sapori entusiasmanti e, nel caso si eviti, sull'aereo, di occupare sedile accanto a quello di un consigliere regionale, perfino annusare profumi inebrianti. Mi piace il fatto che fanno a pezzi, addirittura sbriciolano, le abitudini.

Non parlo qui di abitudini importanti e soprattutto coscienti (leggere molto, fare esercizio, contenere i grassi saturi e cambiare canale quando c'è Milly Carlucci): parlo invece delle mille incrostazioni quotidiane che ci fanno vivere allontanandoci dal tempo presente. I viaggi sono infallibili nel rimuoverle. Basta una settimana o poco più lontano da casa e, al rientro, non mi ricordo più dov'è l'interruttore della luce dell'ingresso e devo fare uno sforzo consapevole per ritrovarlo. Tutto il giorno, per giorni, bisogna che riconquisti la casa, le stanze, gli oggetti; devo ricostruire i piccoli e grandi rituali del vivere quotidiano: quelle banali operazioni che, nel tempo, vengono rese incolori dagli automatismi dei gesti e relegate sullo sfondo da una sorta di meccanizzazione della mente in modo da mantenere in primo piano il sovrano, costante, logorroico, lamentoso, spaventato, cavilloso e nevrotico flusso del pensiero.

L'esser passato, sia pure per pochi giorni, in altre strade e in altre stanze, l'aver maneggiato altri oggetti e, in fondo, anche parlato altre parole, ha spazzato via tutto: meccanismi, istinti, reazioni pavloviane, rotte domestiche tracciate con il pilota automatico. Tutto ciò rende vivere un poco più stancante, ma quanto più reale, presente, tattile e, oserei dire, avventuroso.

So bene che, presto, le abitudini torneranno e le incrostazioni di nuovo copriranno buona parte delle giornate. Per fortuna una cosa non dimentico mai: dove tengo la valigia.

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