Il Posto Vuoto

Compare sempre al mattino, quando il treno è più affollato. Credo di aver già descritto, qui, il simpatico bailamme di queste corse nelle quali, grazie al brillante programma “Conosci il tuo vicino”, voluto dall’Amministrazione ferroviaria, i passeggeri sono simpaticamente costretti a ispezionarsi l’un l’altro, a visitare le reciproche cavità, a conficcare i gomiti nelle parti molli dei contigui viaggiatori e a riceverne in cambio, in una generosa e vitale reciprocità, vigorosi pestoni sui calli.

Lui, dicevo, compare sempre quando l’affollamento sul treno è al suo culmine e i passeggeri, sempre solidali, avviano una delicata quanto indispensabile operazione: il razionamento dell’ossigeno. A turno respirano per dieci minuti prima le passeggere femmine (tra i pendolari sono in vigore le regole di cavalleria), poi i passeggeri maschi.

Ed ecco che arriva lui. Ormai non dice neanche più «permesso»: spinge e basta. Ti conficca un gomito nel fianco, fa leva con l’anca, tossicchia sul collo e, in qualche modo doloroso, ineducato e sconveniente, si fa strada. Ora tocca ad altri passeggeri subire lo stesso trattamento. C’è una ragazza - ascolta musica, lo sguardo fisso davanti a sé, la bocca perennemente in moto intorno a una gomma - che non dà segno di averlo, come dire?, percepito. A lui poco importa: si contorce, si piega, si assottiglia e nello stesso tempo spinge, forza, solleva, allarga e, implacabile, passa oltre.

Tra uno spintone e l’altro ha percorso tutto lo scompartimento. A questo punto invariabilmente infila la scaletta che porta al piano superiore: non lo vediamo più ma sentiamo il tramestio, le imprecazioni, i colpi sordi, i mugugni. Eccolo che ridiscende: altre forzature, altre compressioni, un paio di gomitate, un braccio infilato come una lancia tra una suora e un ciccione in gabardine.

Ogni giorno, così. Tutti lo odiano ma a lui non importa perché ha una missione: un giorno, da qualche parte sul treno, riuscirà finalmente a trovare il Posto Vuoto che Dio ha riservato per lui.

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