Il presente che verrà

A quale conclusione può arrivare un commentatore - non il sottoscritto, beninteso: uno di quelli bravi - dopo aver passato anni a scrivere del futuro e di ciò che lo predetermina? Per esempio a questa: tra tutto ciò che, oggi, va modellando gli anni a venire, tra quanto influirà, prossimamente, nelle nostre vite e in quelle dei nostri discendenti mancherà l’ingrediente che, a prima vista giudicheremmo fondamentale, ovvero la tecnologia. Tom Chatfield, collaboratore del sito web della Bbc, dopo aver passato anni a studiare nell’oggi i segni del domani è giunto proprio a questa convinzione: il favoleggiato potere della tecnologia di trasformare la società è largamente un mito.

Non sarebbe giusto, secondo Chatfield, arrivare al punto di affermare che la tecnologia non “incide” nella società: che possa “trasformarla” è però da escludere.

Che cosa succede dunque quanto un’invenzione gode di una diffusione di massa? È accaduto con il telefono, la radio, la televisione, la telefonia cellulare e, più recentemente, con Internet. Di volta in volta meravigliati dalle nuove possibilità offerte dalle singole tecnologie abbiamo pensato che potessero arrivare a imprimere alla società cambiamenti fondamentali. Ma per cambiare la società occorre cambiare l’uomo e non risulta che, nell’intimo, l’uomo di oggi che parla al cellulare sia diverso da quello che, decenni fa, ascoltava pieno di stupore una voce lontana uscire da una scatola.

La tecnologia, secondo Chatfield, non introduce “rivoluzioni”. Piuttosto, produce negli uomini lo sforzo di adattare le novità da essa apportate in un preesistente sistema di regole e consuetudini. Invece, continuiamo a immaginare il futuro come un posto in cui, sopra tutto, domina la tecnologia. Sbagliato: continueremo a dominare noi, con i pregi e i difetti che dobbiamo riconoscerci.

Idea balzana, ma non troppo: il futuro è un presente che verrà.

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