Il Rwanda no!

Il Rwanda no!

Transparency International, agenzia che si occupa di lotta alla corruzione, ha pubblicato la sua classifica annuale dei Paesi dove è meno in voga (e dove invece rimane popolare) l’allegra pratica della bustarella. Manco a dirlo, l’Italia ci fa la solita figura di palta. Eccoci al sessantasettesimo posto su 178 Paesi, con un discreto peggioramento della situazione rispetto al 2009. Le agenzie hanno tenuto a precisare che meglio di noi hanno fatto Ghana, Samoa e Rwanda.
«No, il Rwanda no!» si è urlato nelle redazioni. Una reazione viscerale ma non per questo comprensibile. Perché il Rwanda no? In base a quali dati risulta inaccettabile che il Rwanda sia un Paese meno corrotto del nostro? Soprattutto: che diavolo ne sappiamo, noi, del Rwanda? Magari hanno impostato una rigorosissima campagna anticorruzione, magari han fatto pulizia nel pubblico come nel privato e adesso, in Rwanda, non trovi un funzionario corrotto neanche - appunto - a pagarlo.
Noi, invece, strilliamo «no, il Rwanda no!» come quando ai mondiali ci butta fuori la Corea del Nord o il Paraguay. Un atteggiamento sbagliato, pregiudiziale e perfino un po’ razzista. Preoccupiamoci piuttosto della pessima figura che facciamo in quella classifica e non perché veniamo dopo il Rwanda o il Ghana, ma perché siamo tanto lontani dalla vetta. Una situazione che deve cambiare: a costo, qui lo dico e qui lo nego, di passare una sontuosa mazzetta a Transparency International. Sempre che non arrivino prima quelli del Rwanda!

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