Il sax

Il sax

Ieri, prima di mezzogiorno, un ignoto ha fatto un regalo al quartiere mettendosi a suonare il sax. So bene che queste iniziative possono condurre un vicinato alla guerra civile, ma l’ignoto ha svolto un ottimo lavoro: poco più di mezz’ora di esercizi e oltretutto molto ben eseguiti. Per questa ragione, è stato un piacere sentirlo e spero che nei prossimi abbia animo di concedere il bis.

Nell’attesa, a me restano il ricordo di trenta minuti curiosamente emozionanti e una riflessione sul potere evocativo della musica. Il tutto va a credito dell’estate e dell’apertura delle finestre che essa impone. Solo grazie a questa circostanza, le note del sax hanno potuto diffondersi nelle accaldate stanze del vicinato. Decisiva, poi, la scelta del brano preposto all’esercizio: uno spiritual - "Nobody Knows the Trouble I’ve Seen" (traducibile come "Nessuno sa i guai che ho passato") - la cui frase principale, ripetuta e ripetuta ancora, mescolata alla calura e all’umidità, al ronzare delle vespe e al lontano stridere di una fresa, ha creato la suggestione di cui sopra. La quale, purtroppo per me, altrimenti non si può descrivere se non sottolineandone il ruolo di casuale, ma perfetto, collante tra gli elementi che formano il mosaico sensoriale di una mattina d’agosto: il caldo sulla pelle, la svogliatezza delle membra, una sottile pace interiore e un pensiero interrotto che, come un pesante calabrone, torna e ritorna, insistendo nella sua frase sonora e così marcando, a modo suo, l’esasperante viscosità della stagione.

Un momento come tanti, a pensarci bene, e forse non val la pena di farla lunga. Che cosa potrà mai restare di un sax estivo, tra qualche giorno, addirittura tra qualche ora? Nulla, neppure un ricordo. Ci sarà altro da fare, altro a cui pensare, altri problemi e altri affanni. Oh, nobody knows the trouble I’ve seen...

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