Il soldato Nemecsek

Il soldato Nemecsek

Quasi quasi veniva da essere contenti per loro. Quasi, ho detto. Però, a prima vista, il sorriso fanciullesco, appena trattenuto da una maschera di appropriata serietà, conquistava. La maglietta strappata da monello che si intravedeva sotto la camicia stirata e la sobria cravatta blu a pallini bianchi, la fionda che, facendo attenzione, si scorgeva spuntare dalla tasca posteriore dei pantaloni, annunciavano in piena letizia: i ragazzi della via Balle son tornati!

Erano tutti in fila, l’altra sera a Porta a Porta, con l’aria di chi si era ripreso il dovuto: una poltroncina bianca in prima fila dalla quale spararle grosse, sempre più grosse, tanto in campagna elettorale vale tutto. Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri da una parte, Ferdinando Adornato e uno del Pd scivolato dalla mia memoria come da una pirofila dall’altra: il tempo delle schermaglie col silenziatore, trattenute dal morso di una reciproca, poco convinta, ma imposta fedeltà al governo Monti era finito. Tempo dunque di tornare alla Politica, ma come la intendono loro: dove le parole cambiano in continuazione ma non significano nulla, dove contraddirsi non è un problema, negare l’evidenza la cosa più facile e ostentare la propria tendenziosità un titolo di merito. Un fronte nebuloso in continuo apparente movimento ma dove in realtà nulla cambia: le persone sono le stesse, gli interessi che difendono sono ben conosciuti e le ricette proposte sempre più indigeste.

A far spavento, non sorpresa, era la tracotanza con cui questi attorucoli sono tornati in scena: con il vigore rinnovato di chi, per un certo tempo, si è ritenuto ingiustamente imbavagliato, proditoriamente messo da parte. I ragazzi della via Balle son tornati e poco importa il colore delle bande o l’assegnazione delle parti. Tanto l’Italia non potrà che identificarsi con Nemecsek, l’unico soldato semplice presente sul campo di battaglia. Per intenderci: quello che alla fine muore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA