Avendo parecchio spazio mentale sgombro - figuratevi gli scaffali di un supermercato il giorno in cui la Nutella fa uno sconto del 70 per cento - non riesco a impedirmi di formulare pensieri che, in una testa ben organizzata, mai si permetterebbero di alloggiare.
L’altro giorno, viaggiando in treno al fianco di un leggiadro gruppo di liceali, mi chiedevo: «Ma possibile che vadano sprecate in questo modo intere metà di nomi?» Il fatto è che i liceali si riferivano ad amici comuni facendo uso di bruschi e arbitrari diminutivi.
Diceva una di loro: «Hai sentito l’Ale?» (che poteva stare per Alessandro o, meglio, Alessio); replicava un’altra: «È uscito con la Fede» (Federica, credo). Sorpresa generale: «E la Vale?» (che immagino fosse Valeria). «Boh!»
Questa situazione - l’uscita dell’Ale con la Fede in luogo della Vale - ha innescato una turbinosa conversazione non priva di accenti maliziosi. «Ma secondo te gliel’ha detto alla Vale?» «Ma chi, la Fede?» «Sì, figurati, la Fede! No, l’Ale, dico, gliel’ha detto alla Vale?» «Secondo me è più facile che la Fede l’ha detto alla Vale. L’Ale mica dice niente, lui. Si fa i c... suoi». «Ma se l’Ale si fa i c... suoi figurati la Fede». «E noi glielo diciamo?» «Che cosa?» «Che è uscito con la Fede?» «A chi, all’Ale?» «Ma sei scema? All’Ale! L’Ale è con la Fede. Se bisogna dirlo a qualcuno, bisogna dirlo alla Vale». «Ah già». «Allora, glielo diciamo o no?» «Io mi farei i c... miei». «Come fa l’Ale». «E anche la Fede». «Povera Vale». «Vabbé, c... suoi». «Di chi?» «Della Vale!»
Confuso e stordito, ho sognato allora che, in un universo parallelo, ci fosse un treno sul quale un gruppo di liceali rimediasse alle mutilazioni onomastiche di questo, discutendo di come - clamoroso! - il Ssio fosse uscito con la Rica senza neanche dirlo alla Ria.
L’altro giorno, viaggiando in treno al fianco di un leggiadro gruppo di liceali, mi chiedevo: «Ma possibile che vadano sprecate in questo modo intere metà di nomi?» Il fatto è che i liceali si riferivano ad amici comuni facendo uso di bruschi e arbitrari diminutivi.
Diceva una di loro: «Hai sentito l’Ale?» (che poteva stare per Alessandro o, meglio, Alessio); replicava un’altra: «È uscito con la Fede» (Federica, credo). Sorpresa generale: «E la Vale?» (che immagino fosse Valeria). «Boh!»
Questa situazione - l’uscita dell’Ale con la Fede in luogo della Vale - ha innescato una turbinosa conversazione non priva di accenti maliziosi. «Ma secondo te gliel’ha detto alla Vale?» «Ma chi, la Fede?» «Sì, figurati, la Fede! No, l’Ale, dico, gliel’ha detto alla Vale?» «Secondo me è più facile che la Fede l’ha detto alla Vale. L’Ale mica dice niente, lui. Si fa i c... suoi». «Ma se l’Ale si fa i c... suoi figurati la Fede». «E noi glielo diciamo?» «Che cosa?» «Che è uscito con la Fede?» «A chi, all’Ale?» «Ma sei scema? All’Ale! L’Ale è con la Fede. Se bisogna dirlo a qualcuno, bisogna dirlo alla Vale». «Ah già». «Allora, glielo diciamo o no?» «Io mi farei i c... miei». «Come fa l’Ale». «E anche la Fede». «Povera Vale». «Vabbé, c... suoi». «Di chi?» «Della Vale!»
Confuso e stordito, ho sognato allora che, in un universo parallelo, ci fosse un treno sul quale un gruppo di liceali rimediasse alle mutilazioni onomastiche di questo, discutendo di come - clamoroso! - il Ssio fosse uscito con la Rica senza neanche dirlo alla Ria.
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