Il tirolese

Il tirolese

L'uomo china la testa avvicinandola alla mia, solo un poco, a indicare che sta per entrare in una zona di confidenza. Accenna a un'automobile, piuttosto malridotta e parcheggiata sulle strisce, e sussurra: “L'avrà lasciata lì uno del Tirolo, eh?” Aggiunge una strizzata d'occhio, vigorosa come la spremitura del limone sulla paillard.

Resto interdetto: era parecchio che non mi imbattevo in questa ironia geografica, tipica dell'arco settentrionale, che qualcuno insisterebbe per chiamare Padania. Per anni è stata una specie di codice massonico tra lombardi contro i meridionali: si fingeva di pensare che qualcuno - disonesto, inaffidabile, sporco o tutte queste cose insieme - fosse austriaco per insinuare la convinzione che, al contrario, provenisse dal profondo Sud. Non proprio un'esplicita eruzione di disprezzo per i “terroni” ma qualcosa di appena più sobrio: razzismo col silenziatore, potremmo dire.

Della scena, la cosa più interessante è la mia reazione. Superato lo stupore, mi si impone di rispondere. Basterebbe annuire per accontentare il tizio e toglierselo di torno. Ma annuire significa avallare un luogo comune. Peggio, un pregiudizio. Si potrebbe fare una scenata (“Vergogna! Razzista che non è altro!”) ma nessuno fa più scenate: ormai dall'indifferenza si passa direttamente all'omicidio e io non me la sento di andare in galera per difendere uno - germanico o calabrese, non importa - che parcheggia sulle strisce.

Mi sovviene una terza possibilità. Mi palpo con frenesia le tasche fingendo di cercare qualcosa che, evidentemente, non trovo. Poi sbotto: “Ach! Cveste chiafi che spariscono sempre! Ma appena trofo chiafi, io spostare subito macchina. Auf Wiedersehen!” Il tizio ride, forse convinto che gli abbia dato ragione. Non è così, ma si sa: cvesti italianen non capisce mai niente!

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