Misero, limitato, meschino e impopolare perfino con se stesso, l'uomo non è del tutto privo di risorse. Lo dimostra il fatto che ancora riesce a combinare qualcosa di buono. Non parlo di buone azioni individuali, di gesti altruisti e di decisioni caritatevoli come quella di interrompere subito la trasmissione di Facchinetti. Parlo del bene che, occasionalmente, l'uomo riesce ancora a fare come specie animale o, se si vuole, in qualità di consesso biologico.
Dico questo dopo aver letto che, da Sotheby's, un dipinto di Picasso ("Femme assise près d'une fenêtre", 1932) è stato aggiudicato per 33 milioni di euro. Notizie come questa mi provocano sempre un'intima esultanza. Di solito vengono diffuse con lo stesso spirito con cui si registrano bizzarrie esotiche o record da Guinness: il pappagallo più longevo o il tizio che ha fatto il giro del mondo indossando le mutande alla rovescia. Per alcuni, i prezzi record di certe opere rappresentano la dimostrazione che l'arte è ridotta a esclusivo commercio: Picasso, lungi dall'essere un artista universale, sarebbe soltanto un investimento per pochi privilegiati.
Non sono d'accordo: per me il fatto che un quadro venga venduto per 33 milioni di euro significa che, grazie al cielo, esiste almeno un prodotto umano con un valore certo, riconosciuto. Non per tutto è così: sareste stupiti di sapere quanto a buon mercato è trattata l'opera omnia di Italo Bocchino. Se ci pensate, oggi niente vale quanto sostiene di valere. Trentatré milioni in azioni non valgono 33 milioni. Trentatré milioni in prodotti finanziari non valgono neanche lontanamente la stessa cifra. Trentatré milioni in immobili, in oro, in diamanti, in perle e in uranio non valgono 33 milioni. Neanche 33 milioni in contanti valgono 33 milioni. Ma un Picasso può, in effetti, valere 33 milioni, in quanto sublime risultato di un impasto fatto con pigmenti, talento, storia, mercato, moda, cultura, ambizione, avidità, fortuna e interesse. Tutto cose molto umane: fa piacere che valgano ancora qualcosa.
Dico questo dopo aver letto che, da Sotheby's, un dipinto di Picasso ("Femme assise près d'une fenêtre", 1932) è stato aggiudicato per 33 milioni di euro. Notizie come questa mi provocano sempre un'intima esultanza. Di solito vengono diffuse con lo stesso spirito con cui si registrano bizzarrie esotiche o record da Guinness: il pappagallo più longevo o il tizio che ha fatto il giro del mondo indossando le mutande alla rovescia. Per alcuni, i prezzi record di certe opere rappresentano la dimostrazione che l'arte è ridotta a esclusivo commercio: Picasso, lungi dall'essere un artista universale, sarebbe soltanto un investimento per pochi privilegiati.
Non sono d'accordo: per me il fatto che un quadro venga venduto per 33 milioni di euro significa che, grazie al cielo, esiste almeno un prodotto umano con un valore certo, riconosciuto. Non per tutto è così: sareste stupiti di sapere quanto a buon mercato è trattata l'opera omnia di Italo Bocchino. Se ci pensate, oggi niente vale quanto sostiene di valere. Trentatré milioni in azioni non valgono 33 milioni. Trentatré milioni in prodotti finanziari non valgono neanche lontanamente la stessa cifra. Trentatré milioni in immobili, in oro, in diamanti, in perle e in uranio non valgono 33 milioni. Neanche 33 milioni in contanti valgono 33 milioni. Ma un Picasso può, in effetti, valere 33 milioni, in quanto sublime risultato di un impasto fatto con pigmenti, talento, storia, mercato, moda, cultura, ambizione, avidità, fortuna e interesse. Tutto cose molto umane: fa piacere che valgano ancora qualcosa.
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