Il vetraio

Il vetraio

Il giornalismo, io credo, non è una questione di genio. Il più delle volte si tratta di raccontare storie - fatti, se preferite - e la cosa migliore che si possa fare è raccontarle con decente onestà. Se poi capita di imbattersi in un’idea, non c’è che dire: tanto meglio.
Di questa grazia ha goduto un giornalista del sito d’informazione della Bbc quando, aggirandosi per Baghdad, ha pensato bene di intervistare un vetraio. Perché un vetraio? Semplice: con tutte le autobomba che circolano per la capitale, quella del vetraio è oggi in Iraq un’attività profittevole. Ma se fosse solo per questo, l’intervista al signor Tahseen Salim, questo il nome del vetraio, sarebbe un’inopportuna distrazione dalla gravità della guerra, un imbarazzante minuetto danzato sulla tragedia. Non è così perché il giornalista Gabriel Gatehouse, beneficiato da un inaspettato colpo di genio, ha saputo mettere a frutto la sua fortuna, riuscendo a raccontare la guerra da un inedito - e quanto mai insolito - punto di vista. Salim è infatti il testimone più attendibile di un paese che, per quanti sforzi faccia, ancora non riesce a rimettersi in piedi; oppure, di converso, il protagonista di una nazione che, per quanto si tenti di tenerla nel fango, non rinuncia a un minimo di civiltà. In più, alla fine dell’intervista, il vetraio ci impartisce una profonda ancorché amarognola lezione sulla guerra, la dittatura e la democrazia e perfino l’economia: «Sotto il regime di Saddam - informa - c’era senz’altro meno lavoro».

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