Impronta profonda

Tutti noi, credo, abbiamo avuto momenti di cui non andiamo fieri. Non mi riferisco a vere e proprie malefatte, ci mancherebbe, ma a incidenti, goffaggini, passi falsi sociali. L’epitome di tutto ciò si trova nella famosa uscita del tizio che, incontrata un’amica dopo anni, esclama «Non sapevo fossi incinta!» quando la signora, semmai, aveva semplicemente esagerato con le calorie.

Oggi ai passi falsi clamorosi possiamo aggiungere quello di un giornalista della Svizzera italiana che, all’inaugurazione di una mostra, a Lugano, ha pensato bene di mandare in frantumi un’opera d’arte. Non che l’abbia fatto apposta, questo no, ma l’incidente è comunque grave.

Il dramma si è consumato allo spazio espositivo Meno Uno dove era in corso il vernissage delle trenta nuove opere della Collezione Giancarlo e Danna Olgiati. Una manovra mal calcolata, forse l’ entusiasmo per l’arrivo dei vol-au-vent, e il disastro si è compiuto: l’opera “Impronta” (1962-1964) di Luciano Fabro ha vacillato sul piedistallo ed è caduta. Non ha limitato i danni il fatto che l’intera opera fosse, in sostanza, un disco di vetro. Agli smarriti curatori della mostra non è restato altro da fare che raccogliere “Impronta” con scopa e paletta e metterla in un sacchetto della spazzatura dove, adesso, si intitola “Occhio a non tagliarsi”.

La stampa locale riferisce che, secondo la curatrice del Museo cantonale cui fanno capo gli spazi espositivi, il valore dell’opera era «inestimabile», un aggettivo che non deve aver aiutato lo sventurato giornalista a ritrovare il buon umore.

L’episodio dimostra quanto valore inconscio attribuiamo all’arte: l’idea che un’opera vada in frantumi ci mette in estremo disagio. Il pensiero non va solo al valore commerciale: distruggere un’opera è violare un profondo tabù.

Chi lo sa? Magari il sacrificio di Lugano è valso a qualcosa: a ricordarci di amare l’arte sempre, non solo quando è troppo tardi. Fabro, scomparso nel 2007, potrebbe andarne orgoglioso: la sua “Impronta” non è mai stata così profonda.

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