In secca

In secca

Sarà meglio dirlo subito: il giornalismo, nel prossimo futuro, potrebbe soffrire parecchio. Non per mancanza di lettori, per calo di copie o latitanza della pubblicità: ciò che manca al giornalismo sono le parole. Non le parole proprie, attenzione: le parole altrui.

Veniamo da un’epoca in cui i giornalisti se ne stavano in attesa che qualcuno sparasse un a bischerata galattica. Molto gradite quelle sessiste. Meglio ancora se intrise di razzismo. Qualcosa che deragliasse nei territori intoccabili del politicamente scorretto. Dopo di che, lo spettacolo si metteva su da solo. Di solito, seguiva quattro fasi ben precise: 1) editoriali indignati; 2) approfondito dibattito; 3) riconciliazione ideologica; 4) dessert con tarallucci e vin santo. Un meccanismo collaudato e oliatissimo, praticamente infallibile, che ogni volta portava acqua al mulino del giornalismo per almeno tre o quattro giorni.

Da qualche tempo, però, siamo in secca. Mancanza di bischerate, nientemeno! Chi lo avrebbe detto, in un Paese come il nostro? Certo, qualcuno ancora le spara grosse: c’è chi sostiene che Anna Frank era una zoccola e Lucio Dalla un’emanazione di Satana. Ma è come guardare chi fa un incidente stradale da solo: non si riesce neanche a compatirlo. No, qui c’è bisogno di qualcuno che, per continuare nelle allegorie, la faccia proprio fuori dal vaso, tocchi un nervo scoperto, ci faccia fare un salto sulla sedia. Altrimenti, vedete come siamo ridotti? A rovistare nei luoghi comuni.

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