Dallo scorso gennaio l’inventore di Facebook, l’ancor giovane Mark Zuckerberg, è in viaggio per tutta l’America. È sua intenzione visitare tutti gli Stati dell’Unione allo scopo di conoscere meglio il Paese e, in particolare, quella parte di esso che, con grande sorpresa di molti, ha eletto presidente tale Donald Trump, detto anche “Bellicapelli”.
Ecco dunque Zuckerberg presentarsi in negozi, scuole e case private. E eccolo chiacchierare con operai, educatori, casalinghe e casalinghi. Non di rado, egli cena con essi: operazione per la verità già tentata da Veltroni, ma forse è meglio che Zuckerberg non lo sappia.
Il fondatore di Facebook è senza dubbio una persona intelligente ma ciò non ci impedisce di temere che il suo estenuante tour possa rivelarsi inutile. Oggi molti, in primis i giornalisti, si fustigano - o fingono di fustigarsi - per «non aver capito il fenomeno Trump», così come il «fenomeno 5 Stelle» e ancora prima «il fenomeno Tsipras». Di conseguenza, cercano di rimediare, immergendosi in quella che definiscono «pancia» dell’elettorato. Di tutti loro, come di Zuckerberg, posso credere nelle buone intenzioni ma continuo ad essere scettico sull’esito delle loro esplorazioni.
Un bravo reporter può inquadrare una situazione e descriverla ai suoi elettori, ma difficilmente diventerà qualcun altro. Nel raccontare ,manterrà sempre una voce “altra”, come lo scienziato che descrive una reazione chimica : non fa parte di essa né la “sente” con altri sensi se non con la ragione.
Ancor meno vicini a comprendere la summenzionata «pancia» sono gli editori dei media che sposano le idee populiste: in essi subentra un atteggiamento, quasi parassitario, di identificazione, non certo di comprensione. Ha dichiarato Dylan Howard ,direttore del trumpianissimo National Enquirer: «L’80% dei nostri lettori è con Trump. Questo mi obbliga a creare il contenuto che desiderano». In altre parole, a impaginare articoli e titoli che trasformano in informazione - ovvero in presunta realtà riferita - le idee che costoro hanno già in testa. Un giornalismo che rimane un passo indietro, pronto ad assecondare e dunque ancor più confuso di chi, almeno, ammette di non capire.
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